Il mese che consegna la stagione della Roma all’archivio si chiude dove era iniziato: all’Olimpico. Da bunker su cui costruire fortune a tempio maledetto in cui salutare ogni ambizione, a partire dalla Champions perduta ad agosto col Porto. Da allora fino a febbraio, però, qui non aveva preso punti nessuno. Ha iniziato il Napoli 45 giorni fa e quella che sembrava solo una crepa è diventata una voragine: il Lione, i due derby, ora anche l’Atalanta. Se ne sono andate in un mese, l’Europa League, poi la Coppa Italia, pure lo scudetto ieri. «A Roma ho trovato la possibilità di lavorare e ce l’ho messa tutta»: è una resa quella di Spalletti. Adesso sa pure lui che la coda della stagione non regalerà un’emozione inattesa, non accenderà di speranze le ultime settimane della sua seconda vita giallorossa. Un tramonto triste, in cui curiosamente il destino lo accosta al “nemico” Totti. Lui e Spalletti sembravano quasi affidarsi silenziosamente l’uno all’altro, quando il cronometro dell’Olimpico maledetto segnava l’ottantacinquesimo in corso: il capitano all’allenatore perché gli consentisse di provare almeno a rendersi utile. L’allenatore a lui perché cambiasse il finale già scritto dopo il vantaggio di Kurtic. Aspettative deluse. Per la terza volta di fila l’Atalanta esce imbattuta dalla casa romanista. Trasformando il crepuscolo della carriera di Totti in un sorso di cicuta e timbrando il foglio di via di Spalletti, che ormai non fa più nemmeno grossi sforzi per nascondere la decisione presa: «Il risultato non è buonissimo ma nemmeno da buttare via, alla fine tireremo le somme e ci prenderemo le responsabilità».
Prendersi le responsabilità, nel suo linguaggio sempre meno criptico, è farsi da parte, rinunciare a guidare la squadra a cui «non manca nulla per vincere», a detta dei dirigenti. Non succederà quest’anno nonostante il 35° gol stagionale di Dzeko (capocannoniere con 25 in A insieme a Belotti), inutile maledire la sorte per il sedicesimo e diciassettesimo palo stagionale in campionato, più di tutti gli altri. Curioso che per raccogliere l’eredità del tecnico non sembri esserci la fila. O, se pure ci fosse, c’è anche chi se ne chiama fuori. Come Gasperini: «Sono lusingato dall’interesse della Roma, detto ciò mi sono ripromesso di non essere la terza o la quarta scelta, è già successa con l’Inter…». Insomma, pare quasi che qualcuno gli abbia fatto annusare qualcosa relegandolo però in fondo alla lista delle priorità. Non proprio la condizione ideale per sedurre. La sintesi della stagione è quella di Szczesny, uno che complice l’aereo con destinazione Londra che lo attende a fine stagione (ma il Napoli proverà a riportarlo in Italia) ha la distanza giusta per raccontare passato e futuro: «Il campionato secondo me è finito – dice – la Juventus non perderà 8 punti, e noi abbiamo sbagliato tutte le gare importanti. Ora dovremo vincerle tutte e portare a casa il mini trofeo del secondo posto». Fallito il salto, insomma, la Roma abbassa il metro: l’obiettivo è difendersi dal Napoli, assicurarsi la porta principale per giocare la Champions senza spareggi, evitare il playoff estivo che ha già contribuito a ingolfare questa stagione zavorrando i conti della società. L’Olimpico invece si accontenta di festeggiare la tenuta delle misure di sicurezza anti-terrorismo. L’unica cosa che ha tenuto, in un pomeriggio segnato dall’emorragia delle speranze.