La chiesa ha cambiato indirizzo e la Lazio del presidente Lotito, di Simone Inzaghi e di un gruppo di giocatori con un monte ingaggi che è metà di quello della Roma si riprende la città sfruttando ancora una volta la Coppa Italia, come il 26 maggio 2013. Affronterà in finale la vincente di Napoli-Juve (stasera al San Paolo, andata 3-1 per i bianconeri) il 2 giugno o il 17 maggio, nel caso in cui la Juve sia in finale di Champions. Un risultato enorme, ma meritato, per Simone Inzaghi. Doveva allenare la Salernitana in serie B e invece, dopo il no di Bielsa, è stato l’allenatore italiano che più ha inciso, insieme a Gasperini, in questa stagione calcistica. Nelle due semifinali ha messo nel sacco Spalletti, che guadagna sei volte più di lui ma, né a marzo né ieri, ha fatto capire il perché. Come dice Velasco, chi vince festeggia e chi perde spiega. La Lazio affronterà con il morale a mille questo finale di stagione, a partire dalla sfida contro il Napoli, domenica sera, che vale per il terzo posto. La Roma è ai margini di un’altra stagione «zeru tituli» e chissà se Spalletti, dopo le eliminazioni in Champions, Europa League e Coppa Italia, avrà le idee più chiare sul suo futuro. Porto, Olympique Lione e Lazio erano, sulla carta, inferiori alla Roma. Il campo ha detto ben altro e il campo non racconta storie. La Roma doveva fare un miracolo, ma ci è andata vicina solo al 3’: Dzeko anticipa netto De Vrij, su cross di Emerson Palmieri, ma mette di un soffio a lato.
Due minuti dopo Immobile sfrutta un doppio rimpallo in area romanista e tocca con la punta del piede, anticipando Alisson: anche questa volta la palla sfila fuori di poco. La pressione dei giallorossi è intensa, ma l’orologio gioca con la Lazio. La qualificazione si è decisa con il 2-0 dell’andata, così come era successo con il 4-2 a Lione. Il primo intervento di Rizzoli è l’ammonizione di Nainggolan (giusta) per un fallo sulla ripartenza di Felipe Anderson negli spazi che i giallorossi devono concedere. La Roma attacca a testa bassa, la Lazio aspetta fiduciosa che arrivi il suo momento. Il treno della finale passa puntuale al 37’, quando Felipe Anderson mette al centro, senza essere pressato, e il rimpallo tra Manolas e Immobile favorisce l’attaccante: tiro a botta sicura e miracolo di Alisson, che però non può nulla sul tocco ravvicinato di Milinkovic-Savic. Il serbo, che aveva già segnato all’andata, entra di diritto nella lista degli uomini derby a soli 22 anni. Un capolavoro di mercato di Tare, che lo strappò alla Fiorentina all’ultimo istante. Il gol di El Shaarawy, su errore di De Vrij, chiude il primo tempo ma resta una beffa e non una speranza. Ciro Immobile, che ha stravinto il confronto dei bomber con Dzeko, riporta avanti la Lazio, involandosi da solo su assist dell’ubiquo Milinkovic nella metà campo vuota. È il simbolo di una Roma sparita, che ha bisogno di cambiare molte facce: ci penserà Monchi? La doppietta nel finale di Salah manda negli almanacchi una vittoria romanista, ma è uno dei derby più tristi per una tifoseria che si meriterebbe ben altro. La notte è della Lazio.