Era una squadra costruita apposta. Da Franco Sensi, diventato proprietario e presidente nel 1993 con la sola e fissa idea di vincere lo scudetto. In quegli anni non lontani lo scudetto valeva qualsiasi cosa, una Coppa dei Campioni, la strada di casa: vincere in Italia era lo scopo, il resto faceva fino ma si trattava di decorazioni. Sensi ci mise parecchio ad arrivarci e passò attraverso varie fasi, dall’utilitarismo mazzoniano alla sarabanda di Zeman. Alla fine la Roma vinse nell’unico modo che funzioni davvero: Fabio Capello, cioè un allenatore di sensibilità calcistica e carisma profondo, e un plotone di giocatori di primissimo piano. Persino Capello impiegò due stagioni a raccapezzarsi. A suo merito va aver tracciato una riga e aver seguito quella direzione senza pentirsi di nulla. Identica condotta adottò nel 2004 quando si rifugiò alla Juve qualche mese dopo aver garantito che mai avrebbe acconsentito ad allenarla.
A parte questo c’era la forza tranquilla della sua consapevolezza tattica. La squadra doveva girare intorno a Emerson, puma brasiliano che prendeva la palla al limite della sua area e la portava senza colpo ferire sulla trequarti opposta, dove si cominciava a giocare. Solo che Emerson si piantò subito per rientrare solo verso la fine. Poco male: Capello lucidò Cristiano Zanetti, raro esempio di mediano e fantasista insieme. A mettere ansia alla Roma sono le solite: la Lazio campione in carica che all’andata cede su autogol di Negro e al ritorno recupera due reti, la Juve che pareggia all’Olimpico e quasi ribalta tutto a Torino. Però Samuel è una diga, Batistuta semina 20 gol, Montella tra un litigio e l’altro ne fa 13 e Totti anche. L’anno dopo entra Cassano, la Roma è ancora più forte. Naturalmente arriva seconda a un punto dalla Juve. C’è chi pensa che essere romanisti sia divertente.