Sei punti su sei alla Spal. E già questo potrebbe bastare per descrivere l’ennesima figuraccia rimediata dalla Roma. Che cambia l’allenatore, ma non perde il viziaccio di deludere la sua gente. E di compromettere, per l’ennesima volta, classifica e ambizioni Champions. Perdere contro una Spal che non vinceva in casa dallo scorso 17 settembre rappresenta un’autentica, imbarazzante impresa. Come dire: al peggio non c’è mai fine.
PROVA INCOLORE – Zero romani in campo, uno in panchina. E tanti tanti in curva. Trasferta inedita, per molti versi. Con Edin Dzeko, il più romano dei non romani (per militanza, sia chiaro), con la fascia di capitano al braccio. E un vecchio amico, Patrik Schick, al suo fianco. Roma sulla carta più tendente al 4-2-4 che al 4-4-2, alla faccia del difensivismo un po’ minestraro attribuito a Claudio Ranieri. E quell’equilibrio tanto invocato dal tecnico ex Fulham? Misterioso, al momento del fischio d’avvio di Rocchi. Un po’ meno misterioso, però, dopo aver verificato la tenuta in fase di non possesso, lì a destra, del tandem olandese Karsdorp-Kluivert.
E la coppia Dzeko-Schick? Un primo tempo così così, con il ceco smanioso su (quasi) tutti i palloni ma a tempo limitato e il bosniaco smanioso (e nervoso) con gli avversari. E un secondo tempo difficile da decifrare. Alla vigilia s’era discusso molto sull’efficacia di questo duo snobbato in maniera sistematica da Eusebio Di Francesco: si diceva che, una volta cambiato tecnico – e modificato il sistema di gioco – Dzeko & Schick avrebbero avuto maggiori possibilità di coesistere. La gara di Ferrara, però, ha dimostrato che, al di là di tutto, i due non sanno giocare insieme. Non si cercano, vanno ognuno per conto proprio.
Difficilmente si muovono in sintonia. Che non significa fare gli stessi movimenti; anzi, significa fare movimenti diversi, complementari. Il bosniaco e il ceco, invece, non sono mai stati coordinati: o troppo vicini oppure troppo lontani. Tanto è vero che Dzeko tutte le occasioni se l’è praticamente costruite da solo, mentre Patrik nella seconda parte della gara è sparito di scena. Colpa, forse, anche di un gioco lontano parente di un gioco. Chissà. La Roma, al di là della strana coppia, continua ad essere una squadra malata e in continua crisi d’identità. E raccontarlo a metà marzo fa ancora più effetto. Con un inevitabile filo di tristezza.