E all’improvviso James Pallotta. Che se fosse disponibile quello strano strumento dell’applausometro, in queste settimane farebbe registrare i minimi storici. Grado di popolarità basso, a forza di dichiarare e smentire, forzare e poi ritrattare. Ecco, dentro questo panorama più scuro che no – nella notte tra martedì e mercoledì appeso in città un altro striscione di contestazione, del tenore «Pallotta pupazzo, ti aspettiamo che te levi dal …» – ecco il risultato più alto della gestione Usa, Roma tra le prime otto d’Europa. E neppure come Cenerentola, perché nel lotto c’è pure il Siviglia che parola del d.s. Monchi – «aveva la metà del budget che ho io a disposizione per la Roma».
IL MERCATO – Quanto questo cammino in Champions renda ricco il club potete leggerlo nel pezzo in basso. E la cosa ha riflessi anche sulle manovre di mercato. Non sulle scelte, ovviamente, che viaggiano in maniera parallela: per capirsi, se Monchi sarà convinto di accettare un’offerta per un big, procederà in ogni caso. Ma di sicuro gli incassi europei abbassano la percentuale di necessità di fare operazioni in uscita: in soldoni sono il miglior strumento possibile per avvicinare il club al break-even. E magari avvicinano un po’ più alla conferma Alisson, il cui agente ieri è stato a Trigoria. Che poi il trading sia uno strumento che la Roma utilizzerebbe anche in caso ipotetico di pareggio del bilancio, è storia altrettanto vera. Ma un conto è decidere di vendere un giocatore, un altro è farlo con la tagliola della scadenza al 30 giugno, come accaduto un anno fa per Salah, Paredes e Rüdiger. L’altra ricaduta positiva è sulla faccenda sponsor: la Roma ai quarti di Champions diventa marchio più appetibile. L’input di Pallotta ai suoi uomini è stato quello di chiudere un accordo entro l’estate, per una cifra non inferiore ai 10 milioni a stagione.