Tra tanto cinismo e tanti eccessi, almeno nelle lacrime di addio il calcio non prevede graduatorie. Hanno tutte lo stesso significato e la stessa malinconia. Chi ironizza sulla commozione di un calciatore che appende le classiche scarpette al chiodo per “fine carriera” – professionista o dilettante, non cambia – vuol dire che non ha mai “vissuto” uno spogliatoio, non ha mai condiviso gioie, malumori, insuccessi, finanche i problemi personali con la complicità dei compagni di squadra.
E non vale solo per il calcio, naturalmente. Barzagli, Pellissier, Abate, tre storie diverse, con la stessa umanità, riavvolte domenica nella memoria collettiva attraverso le immagini tv. Dopo il titolo Mondiale nel 2006, Barzagli ha avuto la forza di andare all’estero a vincere uno scudetto in Germania con il Wolfsburg e poi 8 Campionati italiani con la Juve, senza venir meno a una testimonianza di serietà, etica e rispetto con la maglia della sua squadra e con la Nazionale, 73 gare in Azzurro.
Non aveva i piedi buoni Ignazio Abate che a quasi 33 anni chiude con il Milan una carriera fatta di sudore e volontà. Ma sono proprio le doti che lo hanno fatto amare dai tifosi rossoneri e lo hanno premiato anche con 22 presenze azzurre. Un esempio di fedeltà è quello di Sergio Pellissier, 17 stagioni consecutive con il Chievo, 495 partite e 134 gol. A proposito di bandiere, si è scritto e detto quasi tutto della liquidazione di De Rossi da parte della sua Roma.
Lo stile è sostanza: è mancato lo stile, ma anche la sostanza, di fronte a un giocatore per il quale la maglia giallorossa è sempre stata una seconda pelle, insieme a quella della Nazionale che ha onorato senza risparmio. Lascerà la Roma, suo malgrado. Non lo lasceranno gli appassionati di calcio che lo celebrano (domenica nello stadio della Juve, ieri nell’Olimpico laziale) come un fuoriclasse del calcio e della vita.
FONTE: Il Messaggero – A. Valentini / Sup: Dietro la Rete