Giocare ad armi pari. Era questo il principio che ha mosso l’istituzione del Fair Play Finanziario. Ed è proprio il rispetto del postulato alla base della lettera ufficiale che la Roma ha recapitato alla Uefa. La richiesta formale di spiegazioni al governo europeo del calcio era stata anticipata da un passaggio chiave dell’intervista concessa negli Stati Uniti dal presidente Pallotta: «Serve fare qualcosa. Ho scritto una lettera alla Uefa chiedendo di avere un dialogo costruttivo su quanto abbiamo visto fare ad altre squadre. Quando guardiamo ad alcune sanzioni o alla scarsità di pene inflitte, il mio punto di vista è: perché mi sto preoccupando del Financial Fair Play, non è meglio prendere dodici milioni di euro di multa e accettarla?».
La domanda che il numero uno romanista pone a se stesso può sembrare retorica a una prima superficiale interpretazione, ma ha una sua logica. Se le pene inflitte ai club che non rispettano le regole sono di così lieve entità come quelle comminate fino a questo momento, che senso ha compiere salti mortali per far quadrare i bilanci? Sarebbe molto più proficuo anche per le trattative di mercato non avere la scure delle scadenze temporali, che obbligano a condurre operazioni entro le date utili a pareggiare i conti. Per dirla in soldoni, se la Roma avesse potuto scegliere di vendere Salah a fine sessione anziché all’inizio – nell’estate in cui l’affare Neymar ha fatto sballare ogni cifra – forse avrebbe ricavato anche il doppio di quei cinquanta milioni che all’epoca sembravano perfino generosi.
I paradossi del Fpf (…)
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