Si dice spesso che le partite si vincono o si perdono prima ancora di giocare, preparandole nel modo giusto o in quello sbagliato. E la sua «partita» più difficile, cioè il caso-Totti, Monchi l’ha preparata benissimo. Prima di andare in conferenza stampa, a raccontare e a raccontarsi, ha parlato con Francesco Totti e gli ha spiegato che cosa avrebbe detto. È stata una giornata triste per il capitano della Roma, perché si resta giovani solo assecondando il bambino che vive dentro di noi. E quel bambino vuole giocare a pallone, anche a 41 anni, perché il proverbio non dovrebbe essere «un bel gioco dura poco» ma «un bel gioco dura tutto il tempo che voglio».
La franchezza di Monchi, che ha cercato subito il contatto, farà dire di sì a Totti. Farà il dirigente e lo farà al fianco del nuovo direttore sportivo. Francesco così spiegherà a Ramon (Monchi è il diminutivo) che cosa è Roma e che cosa è la Roma. Ramon spiegherà a Checco come si diventa un grande dirigente. E un dirigente di campo, perché Totti è lì che vuole restare: sul campo. Non una bandiera da sventolare una volta ogni tanto, non la statua da portare in processione e tanto meno «il peso della storia» da chiudere in un ufficio.
L’ultimo a far sentire Totti davvero importante nella Roma è stato Rudi Garcia, che non a caso lo chiamava sempre «il Capitano». Luciano Spalletti gli ha ristretto enormemente gli spazi (nel 2017, in campionato, Totti ha giocato solo 107 minuti) salvo poi utilizzarlo per una delle sue boutade: «Resto solo se rifanno il contratto a Totti». Con Monchi può ripartire una nuova Roma, lo ha capito anche Totti.