Non si sbilancia, ma spazza via le troppe voci in un momento così delicato della stagione. Davanti al microfono (di Sky) come in campo Kostas Manolas non bada al sodo e corregge il tiro dopo le parole rilasciate a Mediaset domenica scorsa dal ritiro della Grecia. Se la prende, soprattutto, con la stampa, che avrebbe travisato le parole su Nainggolan al quale consigliava di accettare «la pioggia» della Premier: «Non ho mai detto che deve andar via perché la Roma non è un grande club, altrimenti non sarei qui. Ho solo detto che lui è un top player e può andare dove vuole e giocare ovunque. Ma sono cose sue, non mie». Sul suo di futuro (legato a un adeguamento atteso ormai da un anno e mezzo) è meno chiaro: «Il mio futuro lo sa solo Dio anche se ogni giorno leggo che andrò all’Inter, alla Juve, all’Arsenal, al Real, al Barcellona o al Psg. La realtà è che ho due anni di contratto con la Roma e darò il 110% per fare bene qui, lo prometto». Poi esalta Spalletti: «Un grande tecnico. Mi ha insegnato a credere sempre nella vittoria».
La più importante dovrà arrivare martedì prossimo contro la Lazio quando non basterà nemmeno il 2-0 per passare il turno: «Abbiamo una rimonta difficile in coppa e 8 punti dalla Juve, ma noi ci crediamo. Con il Lione dovevamo passare, ma la palla non è entrata: sono sicuro che se giocheremo così il derby ce la potremo fare. E poi avremo finalmente i nostri tifosi, che ci daranno una spinta in più. Per chi tifo domenica tra Napoli e Juve? Boh. Per nessuno…». Prima la Roma deve battere l’Empoli: «Giocano bene, anche se sono nelle parti basse della classifica, e noi dobbiamo vincere e basta. Ho un brutto ricordo dell’andata, abbiamo pareggiato e mi sono rotto il naso, peggio di così… Adesso servono solo i tre punti. Giocare a 3 o a 4 in difesa? Io mi trovo meglio a quattro». Emerson, invece, è esploso proprio col cambio modulo e a breve sarà a disposizione anche del ct Ventura visto che ha ottenuto il passaporto italiano: «Sarà un onore per me. Dopo quanto successo con il Porto in Champions neanche io pensavo di giocare così tanto. Poi ho continuato a lavorare sempre nello stesso modo, l’unica cosa che potevo fare era lottare ogni giorno e dimostrare il mio carattere e il mio calcio, e così ho fatto».