Tre stagioni al Genoa in tre momenti storici diversi tra il 1991 e il 1997. Una parentesi alla Roma nei sei mesi del campionato 1996-1997, con 3 presenze totalizzate. Portiere, classe 1967, Gianluca Berti ha difeso i pali di tante squadre in categorie diverse restando a livelli professionistici per oltre vent’anni. Oggi è direttore generale della Carrarese in Serie C, con Silvio Baldini allenatore. Ma lui ad andare in panchina non ci pensa proprio: “Non ho la pazienza per gestire da solo un gruppo di calciatori. Mi sta bene fare il dirigente”.
Con il Genoa debuttò in Serie A il 20 novembre 1991, in una partita contro il Milan. Decisamente non una tappa banale nella sua carriera. “Assolutamente no, ringrazierò sempre il Genoa per avermi dato questa enorme possibilità di giocare in un contesto così importante, in un club tanto storico. Avevo 24 anni, da lì partì la mia carriera. Sicuramente avrei potuto giocare di più in quel momento, ma non rimpiango nulla di quanto ho fatto nella mia vita sportiva da calciatore”.
Osvaldo Bagnoli, Franco Scoglio e Attilio Perotti, i suoi tecnici in rossoblù. Ricordi? “Bagnoli era voluto bene da tutti, riusciva sempre a metterti nelle condizioni di rendere al meglio. Con Scoglio non ho mai avuto un ottimo rapporto, ma ci sta perché non puoi essere in sintonia con tutti. Con Perotti, in Serie B, mi trovai alla grande”.
Nell’autunno del 1996, il suo passaggio alla Roma. “Giocai poco, appena tre volte, e come firmai il contratto speravo di farlo molto di più. Tanto che a pensarci oggi, probabilmente, la scelta di passare alla Roma non la rifarei. Però resta l’orgoglio di aver indossato quella maglia. È una maglia pesante, prestigiosa, va onorata sempre a prescindere da chi va in campo. Sono stato poco a Roma, ma ho capito questo. Una piazza importantissima, quando ti chiama la Roma non puoi rifiutare. E io non ci pensai nemmeno un minuto ad accettare quella proposta”.
Come arrivò nella Capitale? “Ero stato preso per prendere il posto di Cervone, che per qualche tempo misero fuori rosa. Ma poi fu Sterchele a essere messo ai margini e io feci il secondo a Cervone. Ma tra me e Giovanni non ci fu mai competizione. Eravamo e restiamo tuttora grandi amici. E lui è stato senza dubbio uno dei migliori portieri degli Anni 90”.
Poi, ad un certo punto, il presidente Sensi esonerò Carlos Bianchi per mancanza di risultati e cercò di salvare la stagione portando Liedholm in panchina insieme a Ezio Sella. “Sì, fu un’annata particolare, con la salvezza conquistata a poche giornate dalla fine. Il cambio dell’allenatore fu inevitabile. Il “Barone” era un personaggio affascinante, un totem vero e proprio a Roma. Sono orgoglioso di essere stato allenato da un grande come lui”.
Anche un anno alla Sampdoria, nel 2006-2007. Da una sponda all’altra di Genova. Domenica saranno undici anni esatti dal gol meraviglioso di Totti a Marassi segnato proprio a lei, di sinistro al volo da posizione impossibile. È passato alla storia suo malgrado. “Mi fa piacere, almeno ogni volta che lo passano in televisione qualcuno pensa anche a me. Mi capita pure con gli amici, che rivedono quel filmato e poi mi chiamano per scherzare. Francesco è stato un calciatore straordinario, ha segnato a tutti, almeno uno dei più belli lo ha fatto a me. Poi su quella partita c’è anche una storia dietro. Un aneddoto che mi lega proprio a Totti…”.
Racconti. “Mio figlio si chiama Francesco e prima di quel Sampdoria-Roma andai da Totti e gli chiesi: “Dopo la partita mi puoi dare la maglia da autografare e dedicare a mio figlio Francesco?”. Lui mi guardò e rispose sorridendo: “Solo se mi fai fare gol…””.
Andò oltre, Totti. Segnò addirittura una doppietta in quel 26 novembre 2006. “Esatto, me ne fece due, la Roma vinse 4-2. Subii quattro gol, ma ne salvai tanti altri. Probabilmente quel giorno fui il migliore in campo dei miei. Di più non riuscii a fare, quella giallorossa era una squadra superiore alla nostra, arrivò fino ai quarti di finale di Champions League. A fine partita, Francesco mi diede la maglia e la dedicò a mio figlio. Non lo dimentico”.
Ma suo figlio aveva una simpatia particolare per i colori giallorossi? “No, gli avevo sempre raccontato di questo Francesco con cui avevo giocato qualche mese a Roma. E lui diventò un tifoso di Totti proprio perché portava il suo stesso nome”.
Oggi è direttore generale della Carrarese. Com’è il ruolo dietro alla scrivania? “Totalmente diverso dal campo. Ma non potrebbe essere altrimenti. Ho 50 anni e a volte mi manca ancora il sapore della partita, quelle sensazioni, quell’adrenalina. Comunque, si cresce e bisogna cambiare. Io sono toscano, mi trovo bene nella Carrarese. Cerco di portare la mia esperienza alla squadra, standoci tanto a contatto, poi mi lega un ottimo rapporto al nostro allenatore, Silvio Baldini”.
Silvio Baldini è abbastanza sprecato per la Serie C. Condivide? “Senza dubbio. Ha allenato in A per tanti anni proponendo sempre idee di calcio innovative, ottenendo pure risultati. È amico di Spalletti, è amico di Conte, spesso si sente al telefono con questi allenatori. E spesso questi allenatori chiedono consigli a Silvio Baldini, non il contrario”.