Quel fenomeno di Josè Mourinho che in queste cose è e resta il numero uno dei numeri uno gli ha dato pure un nome, «neymarismo». Tre giorni fa, dopo l’amichevole del suo United contro la Sampdoria a Dublino, quando un cronista gli ha chiesto che idea si fosse fatto dei 222 milioni di petrodollari sganciati per l’attaccante dal Psg al Barcellona, lo Speciale gli ha risposto che «il problema non è spendere per Neymar ma per i giocatori di bassa qualità, i sopravvalutati, che adesso costeranno sempre di più, 100, 80, 60 milioni, anche se molti di loro hanno un valore tecnico non commisurato a quel prezzo». Il guaio, è stata la chiusa di Mou, «non è quindi Neymar ma le conseguenze di Neymar». L’inflazione dei prezzi dei calciatori è in realtà in corso da un pezzo, si pensi proprio ai 105 di Pogba di un anno fa, e il botto di ONey è l’effetto di un fenomeno già insistente come dimostra il dato — sbalorditivo — di 3 miliardi di euro investiti fin qui sul mercato dai 98 club delle prime cinque leghe europee. Spesso in barba al Financial Fair Play, ancor più spesso al buonsenso: il City ha preso il terzino Mendy dal Monaco per 57,5 milioni e in tutto ha già versato 240 milioni. Molti. Troppi? Secondo transfermarkt.it a ieri la spesa complessiva dei tornei top5 ammontava a 3.133 milioni, in sostanza la stessa fatta segnare al termine delle due ultime sessioni estive (3.150 milioni nel 2015/16, 3.187 milioni 2016/17). Occhio: la sessione ha aperto il 1° luglio, siamo solo a poco più della metà ed è evidente che da qui al 31 agosto — le finestre delle varie federazioni seguono date diverse ma fine mese è il timing più diffuso —, mancando ancora tre settimane e mezza, la quota è destinata a schizzare ulteriormente.
E di parecchio, per due ragioni: 1) il grosso degli affari viene perfezionato all’inizio e alla fine; 2) l’assegnone che il Barcellona ha incassato verrà girato sul mercato, col presidente catalano Bartomeu che ha già fatto sapere di essere intenzionato a reinvestire per compensare la perdita. Verratti, Coutinho, Di Maria: le idee non mancano, le risorse nemmeno. «Bene, sono tornati i soldi» se la rideva Mino Raiola nei giorni dell’affaire Donnarumma. Sempre in Spagna, ma a Madrid, lato Real, dal Monaco dovrebbe poi arrivare il formidabile Kylian Mbappé, 18 anni e 180 milioni di valutazione (senza clausola). Un altro gran bel colpo che aumenterà il conto ma senza influire sulla classifica: la serie A è al secondo posto con 703 milioni di investimenti (696 il dato finale di un anno fa, 570 nel 2015/16) davanti ai 553 della Ligue1, ai 470 della Bundesliga, ai 357 della Liga. In testa a tutti con 1,05 miliardi c’è la solita Premier che con il suo mostruoso contratto televisivo triennale 2016-19 da 7 miliardi di euro (solo per la trasmissione delle partite nel Regno Unito, diritti esteri quindi esclusi) è, insieme alla comparsa dei ricchissimi fondi d’investimento al posto del modello di proprietà classica, la fonte principale di questa fiumana di denaro e pertanto del neymarismo di Mou. Singolare il fatto che le critiche più robuste arrivino proprio dall’Inghilterra dove in questi giorni si sono lamentati un po’ tutti gli allenatori, da Klopp del Liverpool («Così non va bene») a Wenger dell’Arsenal («Siamo oltre il buonsenso», intanto però ha messo 53 milioni per Lacazette del Lione): la verità è che, anche se le distanze restano abissali, l’offensiva del Psg oggi inquieta un po’ la ricca Premier che guarda con sospetto la crescita economica e mediatica di campionati storicamente di secondo piano come Bundes e Ligue1. E, forse, un po’ anche il lento ritorno della nostra scalcagnata serie A che, chissà, sta pian piano smettendo di vivere di ricordi.