Il tappo lo fa saltare “il Gigante”. Chi conosce Luca Da Ros, 21enne studente in Sociologia alla Cattolica, un fratello cestista in Serie A (Matteo, ala dell’Alma Trieste), una militanza da emergente nei Boys della curva Nord del Meazza — dove anche a Santo Stefano aveva sistemato la coreografia, due ore prima degli scontri in via Novara — lo descrive come un bravo ragazzo. E non come l’esagitato lanciatore di oggetti verso i minivan napoletani identificato in poche ore dalla Digos milanese.
Ad ogni modo è lui a esordire davanti al gip Guido Salvini, che lo interroga a San Vittore, facendo nomi e cognomi — anzi soprannomi — e descrivendo piani e sequenze dell’agguato. Nomina “il Rosso”, leader del suo spicchio di curva, e poi i capi di Irriducibili e Viking. Mirko Perlino, l’avvocato che difende Da Ros, dopo tre minuti deve rimettere il mandato: poi va a prendere Marco Piovella e lo porta in questura. “Il Rosso” è lui, 33enne designer di luci d’interni di Arenzano, stimato professionista non nuovo ai guai di curva: dal derby di Champions del 2005, quando venne arrestato e poi assolto per il lancio di razzi su Dida, all’ultimo Inter-Juve dello scorso 28 aprile, quello del 2-3 firmato da Higuain nel recupero, quando guadagnò un anno di Daspo per una scaramuccia tra nerazzurri ai cancelli. Parla Piovella, e prova a negare ruoli di responsabilità prima di essere rilasciato — ma è imminente la misura cautelare per rissa aggravata — e parlano anche Francesco Baj e Simone Tira, gli altri arrestati difesi da Antonio Radaelli. Confermano la presenza, negano responsabilità, sottoscrivono però la dinamica descritta dal “Gigante”, ora assistito dall’avvocato Alberto Tucci: ritrovo alle 18 in un pub di zona Sempione, in attesa di indicazioni dai leader. Al segnale, venti auto con un’ottantina di ultras a bordo partono indisturbate verso il parchetto di via Fratelli Zoia. Dove trovano, oltre a una ventina di nizzardi della Populaire Sud e una decina scarsa di varesini, anche le borse con mazzette, spranghe e roncole per l’agguato. Attendono fino alle 19.20, quando uno scooter civetta dà il là all’imboscata.
Uno scenario che, a questo punto, coinvolge l’intero direttivo della curva interista nell’azione che ha sconvolto le ore di vigilia di Inter-Napoli, e che vedrebbe protagonisti numerosi capi ultras diffidati o daspati. «Dobbiamo solo mettere a fuoco — spiega un investigatore — la catena di comando e il perché di un’azione di questo tipo». Culminata poi fatalmente con la morte di Daniele Belardinelli. Che di Marco Piovella era amicissimo, tanto che i due avevano trascorso il Natale insieme, ventiquattr’ore prima degli scontri e dell’investimento letale. Anche su questo versante gli specialisti della Digos hanno fatto passi avanti: una telecamera comunale di via Novara ha messo a fuoco un’auto di grossa cilindrata, ma meno voluminosa di un suv, nera o blu scura, che rallenta e poi accelera bruscamente dal punto dell’impatto con Belardinelli. Vista anche da Da Ros, Baj e Tira, vista scappare dopo aver travolto Belardinelli. Sarebbe un’Audi A3 e sarebbe stata alla testa del corteo di minivan napoletani bloccati in strada a un chilometro da San Siro. Che avrebbe accelerato e scartato per evitare di finire sotto i colpi degli ultras avversari. E non, dunque, secondo l’ipotesi investigativa che ha preso corpo ieri sera, guidata da elementi estranei alla vicenda e in fuga perché impauriti. Le ricerche dell’auto sono state estese fino a Napoli, non è improbabile — qualora l’ipotesi fosse confermata — una fuga lontano dal teatro degli incidenti già la sera e la notte del 26 dicembre. Resta il dolore per chi ha perso “Dede”. Come la madre Viviana Priester, che sui social ha scritto: «Non lo giustifico ma vi chiedo da madre di lasciarlo in pace da adesso in poi Che riposi in pace e che sia ricordato come io lo ricordo fuori dal mondo del calcio uomo figlio padre marito fratello dolcissimo. Vi prego basta. Daniele deve riposare».