Firma tutti i libri del mondo con una condizione preliminare: «La dedica si fa con i nomi di battesimo. Niente cognomi, in Spagna porta sfortuna». Elegantissiumo nel suo completo scuro, Monchi ha passato una mattinata alla fiera del libro dentro alla Nuvola di Fuksas, il palazzo ultramoderno dell’Eur di recente costruzione. «Ettore si scrive con due “t” vero?» chiede pazientemente al giovane tifoso, che dopo una ventina di minuti di fila ha strappato un bel sorriso, la dedica e una foto ricordo.
LA STORIA – L’occasione era la presentazione italiana de Il Metodo Monchi, il libro scritto con il cronista andaluso Daniel Pinilla Gomez. Intervistato dal giornalista Paolo Condò, Monchi ha raccontato una serie di aneddoti che hanno reso eccitante il suo percorso professionale nel Siviglia: «Nemmeno pensavo inizialmente di fare il direttore sportivo. Non mi ci vedevo proprio. Ma quando la società di casa mia mi ha chiesto una mano non potevo rifiutare. Eravamo in Serie B e sull’orlo del fallimento, nella sede non c’erano nemmeno i cassetti delle scrivanie. Ma siamo risaliti e abbiamo vinto molto». Come? Quali sono i suoi segreti? «Essenzialmente due. Il lavoro. Come dice Jorge Valdano, il successo viene prima del sudore solo nel dizionario… Il secondo punto cardine del mio metodo è il rapporto umano. Conosco dirigenti che conoscono il calcio e i calciatori meglio di me. Ma io so stabilire delle relazioni personali chiare, dirette che possono fare la differenza». Gli è successo ad esempio con Totti, che ha scritto la prefazione del libro: «Ho bisogno di lui. E credo che lui sia contento lavorare con me perché ha iniziato un nuovo percorso. Insieme possiamo fare cose importanti per il bene della Roma. Certo, avrei voluto viverlo anche da giocatore…».
LE STRATEGIE – A margine della chiacchierata, che ha toccato temi privati come la famiglia («Mi manca, ma presto mi raggiungerà perché qui sono felice»), Monchi ha risposto anche sui temi caldi del momento della Roma: «Abbiamo fatto un grandissimo girone di Champions ma prima di raccontare la mia soddisfazione aspetto la partita di Verona. Per me è più importante di quella con il Qarabag». Intanto, con il suo sistema di lavoro, ha già rinnovato sei contratti importanti: De Rossi, Strootman, Nainggolan, Fazio, Manolas e Perotti. Manca solo il settimo, che scade nel 2019, cioè Florenzi: «E’ inutile girarci attorno, Ale è il mio prossimo obiettivo. Non so quanto manchi alla firma ma sono sicuro che Florenzi giocherà ancora per molti anni nella Roma. Per quanto riguarda gli altri, è stato facile trovare un accordo con loro perché tutti volevano restare». Non è andata allo stesso modo invece in estate con Leo Paredes, tornato alla ribalta martedì per un gol sensazionale segnato con lo Zenit in Europa League: «Ci sono dei momenti in cui devi vendere un giocatore. E non sempre vendi quello che vuoi tu. Tra l’altro Paredes avrà una carriera importante ma voleva giocare con continuità e qui, con la concorrenza di De Rossi, sarebbe stato complicato».
L’ALLENATORE – Prevede un sodalizio lungo anche con Di Francesco: «In questo momento il rinnovo del contratto non è nei piani perché c’è grande fiducia reciproca. I contratti si possono stracciare, le buone relazioni no. Eusebio, come può confermare Baldissoni (seduto in platea, ndr), ci ha convinti la prima volta che abbiamo parlato. Era lui l’uomo giusto per noi». Aspetta con ansia Schick e gli altri nuovi acquisti, che a parte Kolarov non hanno avuto modo di incidere: «Il lavoro di Sabatini mi ha agevolato, la squadra era già forte… Non esiste una Roma di Monchi. La Roma non è mia, io devo semmai aiutarla a crescere. Quanto a Schick lo abbiamo preso perché era un’occasione a prescindere dal ruolo e dal momento. Per me è così che funziona: il mio Siviglia ha appena preso Rana dal Corinthians pur avendo già due terzini sinistri». Chissà che a gennaio la trivella del Metodo Monchi non estragga un’altra pepita.