La differenza tra i due «ticket» Sabatini/Spalletti e Monchi/Di Francesco sta tutto nel cammino europeo della Roma: fuori nel peggiore dei modi un anno fa nel preliminare di Champions, contro il Porto; capace di vincere un girone con Chelsea e Atletico Madrid adesso. Per scoprire Monchi è utile la lettura di «Monchi, i segreti del Re Mida del calcio mondiale» (scritto da Daniel Pinilla, 208 pagine, 17,50 euro, editrice Fandango Libri). Domani il libro sarà presentato da Paolo Condò, presente lo stesso Monchi, al Roma Convention Center (Viale Asia, 40), sala Nuvola, dalle 11.15 alle 12.15. Ecco un estratto del Monchi segreto: «Tanto per cominciare, sono direttore sportivo per caso. Non ci avevo mai pensato né mi ero preparato a esserlo. Durante i miei anni da calciatore avevo studiato Giurisprudenza, perché quello che mi piaceva davvero era la politica (la mia vera vocazione frustrata) e non mi è mai passato per la testa di poter avere un ruolo nella direzione sportiva…
Non credo nella fortuna. Credo più nel lavoro. Sono uno di quelli che crede che il successo venga prima del sudore soltanto nel dizionario (frase che ho sentito dire a Jorge Valdano e che mi piace molto tenere presente), perciò, nella vita, per avere successo bisogna sempre conquistarselo prima con il sudore della fronte…A Siviglia mi sono dovuto reinventare da portiere a direttore sportivo e ho dovuto farlo in un modo tremendamente brusco. Il cambiamento diede vita a due situazioni: affrontare problemi che dovevo risolvere e una sensazione di vertigini e addirittura di paura. Mi resi conto che la maggior parte della difficoltà non è nei problemi in sé, ma nella nostra capacità nell’affrontarli…Così, in questo mio primo periodo, vedevo soltanto muri. Non avevamo soldi, i giocatori non volevano venire, la squadra aveva dei limiti, non avevamo personale, né strutture e infrastrutture adeguate. Attraverso una serie di passi riuscimmo a trovare delle vie di uscita per abbattere questi muri che vedevo ovunque e che anche oggi continuano a essere fondamentali nel nostro sistema di lavoro. Si potrebbe dire che la necessità aguzzò l’ingegno e divenne virtù».