Ancora non pioveva. Il vento gelido del Mar Caspio tagliava le ossa con il machete ma l’acqua non si era abbattuta sul nuovo tempio del calcio azero quando Kostas Manolas, il mastino venuto dal mare di un’isola greca, si è infilato sulla traiettoria giusta sbattendo in rete il gol del vantaggio della Roma. L’ha festeggiando urlando, sbraitando, ondeggiando, Manolas, consapevole di aver compiuto un gesto insolito: in Champions League aveva segnato solo altre due volte, l’ultima nel 2013 contro il Psg con la maglia dell’Olympiacos, e in generale non aveva mai scosso una porta avversaria in Europa nel suo sentiero romanista.
GIOIA – Ne aveva di cose da celebrare, lui che a volte ringhia disagio e non ama parlare in pubblico. Ieri, per dire, è stato il primo a correre via dagli spogliatoi infilandosi sul pullman, lasciando ad altri la vetrina mediatica. Ma a Manolas interessano i fatti. Nelle prossime settimane, forse già nei prossimi giorni, firmerà un rinnovo contrattuale che ha fortemente voluto, dimostrandolo con le azioni oltre che con i desideri. Per rimanere alla Roma, per rimanerci a lungo, ha mandato all’aria un accordo già stabilito con lo Zenit San Pietroburgo, si è allenato con meticolosità e partecipazione per tutta l’estate, a breve sarà ricevuto dalla coppia Monchi–Baldissoni, a Baku sofferente e infreddolita in tribuna, per autografare la certezza sul futuro: sarà prolungamento fino al 2022 con uno stipendio netto di 2,5 milioni più i premi, con la clausola rescissoria da 30 milioni che l’entourage del giocatore ha chiesto e ottenuto per garantirsi uno scivolo in caso di offerte irrinunciabili. «Manolas è un grande giocatore, non ci sono problemi – ha spiegato recentemente Monchi – vogliamo tenerlo. E lui vuole rimanere a lungo con noi. Il dialogo è sereno e va avanti tutti i giorni».
MURO – Sì, nell’immediato Manolas vede solo Roma, un rapporto con i compagni (specie Nainggolan) molto migliore di quello che si creda, un feeling con la città che è stato trasmesso alla famiglia in uno scambio di input positivi che è alla base della stabilità professionale. In Azerbaigian si è tuffato con i tempi giusti per instradare la vittoria, tornando al gol dopo 56 partite in giallorosso: l’ultimo risaliva a Roma-Torino, la famosa partita sovvertita da Totti in cinque minuti il 20 aprile del 2016. Però, da difensore, ha fatto anche altro. Ha murato il Qarabag, guidando con personalità il reparto (elogiato in sala stampa da Di Francesco) e impedendo agli azeri di essere troppo pericolosi. Al di là delle statistiche, che raccontano di un numero di respinte superiore a quello di tutti gli altri giocatori (5), Manolas ha dato l’idea di poter arrivare ovunque, di piede e di testa, pur di evitare che gli avversari pareggiassero. E’ andato a terra, in tackle, è salito in aria, per vincere un duello con Ndlovu. Era ovunque, in pratica.
SOLLIEVO – Beh, poi non è mica un difensore perfetto. Nella fase di impostazione spesso è poco preciso. Lo è stato anche ieri a Baku. Ma di sicuro oggi nessuno a Trigoria si dispera più pensando che in estate, invece di cedere lui, è stato perduto Rüdiger. E questo è già un primo successo, aspettando che si alzi il livello delle partite e delle difficoltà alle quali Manolas, con 55 partite nelle coppe europee alle spalle, è già abituato. Nella ricerca della «mentalità» a cui allude Di Francesco è una risorsa non da poco per la Roma.