Una linguaccia, un bacio, una dedica. Tutto indirizzato ai tifosi juventini, i rivali di sempre, appena folgorati dal suo destro poderoso. C’era il mondo intero di Radja Nainggolan in quella esultanza che sa tanto di Champions League. Anni di distanze ideologiche, di punture dialettiche, di azzardi da social network. Non potrete cambiarlo né frenarlo mai. Nainggolan è l’eccesso portato dentro e fuori dal campo: un grande calciatore, un uomo senza filtri. Unisce, divide.
CHIUSURA – Ha un alto valore simbolico il fatto che sia stato lui a sigillare una vittoria che per la Roma vale oro, ma proprio oro materialmente parlando, con il primo gol della vita alla squadra che meno ama. Non c’era nemmeno bisogno di guardare il video girato mesi fa con i tifosi, i suoi, per intuire il suo «odio» (parola grossa ma da intendere in senso lato) verso la Juventus, alla quale non è ancora riuscito a sfilare lo scudetto di tasca ma a cui almeno ha negato lo sfizio di festeggiarlo dentro casa propria. Da rappresentante del popolo, ha cancellato l’ipotesi di uno smacco che la gente romanista avrebbe faticato a digerire.
FUTURO – Se la gode, Nainggolan, dopo la delusione dei derby di Coppa Italia che ancora brucia. Se poi resterà alla Roma o meno, dopo la fine di questa stagione, è presto per dirlo. Dipenderà da una miriade di elementi, il primo dei quali si chiama bilancio. E’ noto e datato l’interessamento del Chelsea, che già l’anno scorso lo aveva tentato. Ma quel gol e quel modo di festeggiare sono un manifesto di romanismo, uno sfoggio di appartenenza che sarà difficile ignorare. «Rimanere nella Roma è stata una scelta di vita – dice spesso – io in questa città sono felice e vorrei rimanerci». La scelta di un’eventuale separazione sarebbe quindi dolorosa, per i dirigenti come per Nainggolan. Che è sensibile alle amicizie romane: a bocce ferme ha dedicato la vittoria all’amico Manfredi Beha, che due giorni fa ha perso il padre-giornalista Oliviero.
GENEROSITA’ – E pensare che nemmeno doveva giocare. Fino a un paio d’ore prima dell’inizio della partita Nainggolan era ancora in dubbio, a causa di quei problemi al polpaccio che ogni tanto si riaffacciano facendogli venire voglia di riposare. Ha fatto terapie e massaggi fino all’ultimo secondo disponibile, sperando che sparissero i dolori. Ma figuratevi se si sarebbe perso questa serata, «perché battere la Juve ha un sapore speciale». Ha sofferto nel compito a cui è meno abituato, gestirsi, ha lottato come poteva nel contenere l’estro dell’amico Pjanic (subissato dai fischi dell’Olimpico) e poi, aiutato dall’assist preciso di Salah, ha sfruttato l’unica vera occasione per tirare in porta segnando il gol numero 11 del suo campionato. Applausi di Totti, che si stava scaldando di fianco alla panchina, applausi di Dzeko, in tribuna con la compagna Amra e la piccola figlia Una, boato assordante dello stadio finalmente colmo di passione, ammirazione televisiva del commentatore Del Piero, uno che di linguacce se ne intendeva.
APPLAUSI – A quel punto sì, era il momento di farsi da parte. Spalletti lo ha capito, sul 3-1, risparmiandogli l’ultimo quarto d’ora di fatica e concedendogli la passerella al momento della sostituzione conservativa con Juan Jesus. E’ stata l’occasione per un ultimo saluto sarcastico alla curva bianconera, che ha risposto per le rime con fischi e insulti, e per incassare l’abbraccio ideale della folla romanista, compatta e in piedi per rendere omaggio al guerriero ferito. E soprattutto fiero.