Le scimmie in Svezia le puoi trovare giusto in qualche giardino zoologico. Identico discorso lo puoi fare con la Danimarca. Eppure il vichingo che è arrivato da queste parti dalla Svezia via Copenaghen per raccogliere l’eredità di un brasiliano che c’è sembrato un colosso, quando ha aperto la valigia a Trigoria, ha visto spuntare una scimmia. Che gli si è andata a posare giusta giusta sulle spalle perché, si sa, le scimmie sono dispettose per natura. Solo che il problema vero è che quella scimmia a Olsen gli sembra Alisson. Con tutti i pensieri, riflessioni, elucubrazioni, che il fenomeno brasiliano può procurare quasi in qualsiasi altro portiere al mondo.
La scimmia brasiliana
Non sappiamo voi, ma a noi, prima nelle apparizioni americane, poi in queste prime due partite ufficiali, il vichingo ci ha dato la sensazione di scendere in campo proprio con il peso di una scimmia brasiliana sulle spalle. Consapevole, pure troppo, di dover provare a far dimenticare quel fenomeno che è andato a tranquillizzare la fase difensiva del Liverpool (tre partite di Premier, zero gol al passivo, una rarità da quelle parti). Ecco, nella speranza che possa servire, il vichingo si tranquillizzi. Partendo dal fatto che sarà impossibile non far sentire orfani di Alisson i tifosi giallorossi. Inutile che si affanni ad andare oltre. Di Alisson ce ne è uno, tutti gli altri son nessuno. Meglio pensare a essere semplicemente se stesso, Robin Olsen. Che, di sicuro, è migliore del portiere che sembra capitato lì per caso che fin qui hanno visto gli occhi romanisti.
Ha una storia alle spalle, titolare della nazionale svedese (23 presenze), un’esperienza internazionale non straordinaria ma comunque pure di Champions, un’età, ventotto anni, che per un portiere vuole dire avere ancora sicuri margini di miglioramento. Si concentri su se stesso e la Roma, lasci stare quella scimmia che si sente sulle spalle, se non dovesse riuscirci tutto gli diventerebbe maledettamente complicato, con tutte le conseguenze del caso. I guai che può provocare quella scimmia brasiliana, li abbiamo visti nella disgraziata partita contro l’Atalanta. Poco da fare sul primo gol; pure quasi sul secondo (però perché non fare due-tre passi avanti per provare a restringere lo specchio della porta?); ma sul terzo no, Rigoni era anche a dieci metri dalla porta defilato sulla sinistra, ma prendere il gol sul tuo palo, caro vichingo, era l’unica cosa che non doveva essere fatta, se poi l’atalantino era così bravo a incrociare e metterla sull’altro palo, bravo lui. Sarà il caso che il vichingo torni a essere se stesso, che la scimmia brasiliana la lasci a noi tifosi, che non pensi al fatto che ha tutti gli occhi puntati su di lui, che lavori duro in allenamento per migliorare i fondamentali, l’unica cosa che potrebbe consentirgli almeno di dimostrare quello che di lui ha pensato e pensa il direttore sportivo Monchi.