E ora chi lo fa il commissario? La domanda circolava insistente nella sala dell’assemblea federale mentre, tra le chiome imbiancate della prima fila, il presidente De Lise annunciava: «Non abbiamo un presidente». La risposta possibile però è una sola: Giovanni Malagò. Non può che affidare a sé stesso, il n.1 del Coni, l’incarico di riformare il calcio in crisi perenne. Lo sapeva da giorni, visto che lo scenario l’aveva quasi suggerito ai tre candidati: «Rimandate il voto o dovrò commissariare». E aveva già convocato per il 1° marzo la Giunta ad hoc. Ieri ha passato la giornata al Foro Italico, col segretario generale Fabbricini, e mentre lo schermo sulla scrivania trasmetteva la diretta streaming della votazione il suo telefono squillava frenetico: dall’Hilton chiedevano lumi e raccontavano di trattative saltate e scenari in divenire. Dopo la fumata nera, la nuova convocazione della Giunta straordinaria: si riunirà giovedì alle 15 e voterà la decisione, da quel momento la palla passerà a lui. Un’agenda non c’è, per questo Malagò si è preso qualche ora, per pianificare la griglia delle priorità.
La parola chiave è “riforme”: quella dello statuto federale, dei campionati, persino della giustizia sportiva. Di certo, Malagò dovrà scegliere 5 o 6 sub commissari a cui delegare le responsabilità specifiche in Figc. Il Club Italia potrebbe finire nelle mani di Costacurta, con cui condividere la decisione più attesa: quella della panchina della Nazionale. Il favorito è Roberto Mancini, che ha già detto di gradire. Sibilia aveva in mente Conte, Gravina Ranieri, Tommasi Ancelotti. Il primo atto però sarà la nomina di un altro commissario: quello della Lega di A, altrettanto incapace di darsi un vertice.Esclusa la conferma di Tavecchio, il nome che circola è quello di Paolo Nicoletti, oggi sub commissario. E potrebbe anche essercene un terzo, “ad acta”, per le riforme in Federcalcio: lo auspicavano ieri i presidenti di Serie A più vicini al n.1 del Coni. Poi inizierà il percorso riformista. Il Coni attraverso i propri Principi informatori cambierà lo statuto Figc, ritenuto “illegittimo”, visto che a differenza di quelli di ogni altra federazione non consente all’assemblea elettiva di votare i consiglieri, che nel calcio sono scelti dalle singole componenti o nominati di diritto. E poi perché fissa la maggioranza necessaria per approvare le riforme nei tre quarti del consiglio: normalmente bastano i due terzi.
Da cambiare pure il “peso” dei voti per l’elezione del presidente federale. Più forza alla Serie A, meno ai dilettanti e alla Lega Pro che ha il 17% pur avendo perso quasi metà delle squadre e una delle due categorie. E poi la formula dei campionati: quasi inevitabile un ritorno alla A a 18 squadre con la B a 20. Altro obiettivo, riorganizzare gli organi di giustizia sportiva che spesso hanno fatto acqua, da Calciopoli al Calcioscommesse. L’inevitabile rivoluzione dopo una delusione come quella del Mondiale in Russia è l’epilogo di una federazione che in 5 anni è andata 4 volte al voto. Malagò aveva detto che alla Figc sarebbe servito «un commissariamento lungo e con ampi poteri». Non meno di un anno, il suo intendimento. I vertici federali si rinnovano entro marzo 2021, dopo la scadenza del quadriennio olimpico: alzi la mano chi è pronto a scommettere che il presidente del Coni abbandonerà prima.