A sette anni di distanza dalla prima caparra di 600mila euro messa sul piatto dal costruttore Parnasi per l’acquisto dei terreni di Tor di Valle, la questione torna di attualità perché — nel giorno dell’ennesima stretta di mano tra la sindaca Raggi e il presidente della Roma James Pallotta — la quota versata dalla Eurnova dell’imprenditore romano raggiunge appena il 27% dei 51 milioni di euro (Iva compresa) stabiliti dal contratto definitivo siglato nel 2012. Cinque anni dopo quella firma, sono stati pagati alla Sais (la società al tempo proprietaria del bene e oggi fallita) solo 14,3 milioni di euro. Non solo: nei giorni scorsi la stessa Eurnova ha richiesto al curatore fallimentare della Sais una nuova moratoria per interrompere il pagamento delle rate per altri sei mesi. La vicenda è intricata e la risposta a tutti gli interrogativi ha bisogno di un balzo nel passato. Gaetano Papalia, proprietario dell’Ippodromo di Tor di Valle attraverso l’azienda di famiglia Sais, conosce Luca Parnasi all’inizio del 2010 e stipula con lui un preliminare di vendita dell’area a condizione che ne venga cambiata la destinazione d’uso. In origine, l’idea del costruttore è quella di trasformare i prati di Tor di Valle in una piccola Amsterdam, con canali d’acqua intorno ai quali costruire le abitazioni.
Aspettando le decisioni urbanistiche, si arriva al 2012 quando viene approvata dal governo la legge sugli stadi. Papalia ne parla con Parnasi e con Thomas Di Benedetto, il primo presidente americano della Roma, che fa visita all’Ippodromo passando una giornata nel verde di Tor di Valle. È in questo momento che la società affida a Cushman & Wakefield l’incarico di individuare l’area idonea per realizzare lo stadio. La società si mette al lavoro e ad aprile inserisce Tor di Valle in cima alla lista delle preferite. Parnasi fiuta l’affare e sigla un contratto di compravendita con una sospensiva legata sempre alla concessione urbanistica e alle cubature. Secondo il contratto, entro la fine del 2012, la Eurnova deve alla Sais 3,1 milioni di euro di caparra, denari che la società intende reperire attraverso un finanziamento presso la Popolare di Novara. Le cose si mettono bene al punto che nel dicembre del 2012 arriva l’annuncio ufficiale in collegamento transoceanico con Alemanno a Trigoria e Parnasi e Pallotta a Orlando. Ma i problemi finanziari del costruttore rovinano la festa, perché la Popolare concede solo una parte del prestito e la caparra non viene depositata. È il primo scricchiolio che passa in secondo piano perché nel febbraio del 2013 arriva l’istanza di fallimento della Sais per un debito con Equitalia di circa 3 milioni di euro con udienza fissata il 26 giugno.
Papalia e Parnasi corrono per rivedere il contratto prima del fallimento e un giorno prima, il 25 giugno, viene messa a punto una nuova bozza: 42 milioni di euro più Iva, di cui 21 per il trasferimento di proprietà e altri 21 in caso di via libera alla cantierizzazione. Contratto alla mano, Papalia chiede a Equitalia di rateizzare il debito secondo le modalità già previste dall’ente, ma la possibilità gli viene negata e nel maggio del 2014 il giudice certifica il fallimento della Sais. Nel luglio del 2015 il curatore fallimentare indicato dal tribunale riprende in mano il contratto con Parnasi che viene in parte rimodulato, posticipando al 2019 il pagamento di 4,5 milioni di mutui bancari, prevedendo uno sconto sull’Iva e una ulteriore rateizzazione dei primi 21 milioni. Da parte sua, la Eurnova ribadisce la liceità delle procedure e conferma che la società sta rispettando il piano dei pagamenti previsto dal curatore. Un piano che sembra scritto senza considerare le esigenze dei tanti creditori della vecchia Sais, che oggi si interrogano sul quando e sul come riavranno indietro i loro soldi.