Nuovo faccia a faccia con i pm per Luca Parnasi, costruttore arrestato il 13 giugno scorso nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della Roma. Un incontro chiesto dalla difesa di Parnasi che, dopo la bocciatura di due giorni fa della Cassazione sul ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare, prova a parlare di nuovo per cercare di uscire di prigione. Lo aveva già fatto a fine giugno, ma la sue ammissioni parziali (in un interrogatorio fiume da 11 ore a Rebibbia), che avevano convinto i pm a dare parere favorevole ai domiciliari, non avevano soddisfatto il gip Maria Paola Tomaselli. Che aveva rigettato la richiesta sostenendo che Parnasi non aveva collaborato a sufficienza. Ed è stato proprio dal no del magistrato che è partito l’interrogatorio di ieri, durato 4 ore, davanti al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al sostituto Barbara Zuin. I magistrati hanno chiesto una serie di chiarimenti sui rilievi mossi dal giudice. Precisazioni, maggiori dettagli, chiarimenti. Innanzitutto sul suo rapporto con l’ex presidente Acea, Luca Lanzalone, vicino ai Cinque Stelle e finito ai domiciliari. Nell’ordinanza di rigetto il giudice chiariva come nella sua prima audizione l’imprenditore non avesse riferito «nulla di significativo in ordine alla genesi e allo sviluppo del suo rapporto con l’avvocato genovese » e in particolare sugli incarichi e sulle consulenze promesse «tramite la sua rete di relazioni».
Ancora, i pm, assistiti dai carabinieri del nucleo investigativo, hanno chiesto conto al costruttore dello stadio giallorosso dei contatti con il Mibact e di quelli con i politici: dall’ex assessore regionale Michele Civita all’ex vicepresidente del consiglio regionale Adriano Palozzi, passando per quelli con Daniele Piva e Mauro Vaglio. Non solo. L’imprenditore ha anche dovuto approfondire i suoi finanziamenti alle fondazioni legati ai partiti. Eyu ( Pd) e Più Voci ( Lega) e suoi rapporti con i suoi collaboratori. Anche su questo punto, il giudice aveva espresso forti perplessità sulla “collaborazione”: Parnasi, aveva scritto, «non ha fornito alcuna dichiarazione riguardo l’associazione ed il ruolo svolto nell’ambito della stessa dai collaboratori/ partecipi».
Proprio ieri il gip ha detto no anche alla scarcerazione, avanzata di loro avvocati, di Gianluca Talone e del cugino di Parnasi Giulio Mangosi. Pure in questo caso, la procura aveva espresso parere favorevole. Anche in questo caso, però, il giudice ha detto di no. Spiegando che anche loro, nei loro interrogatori, non hanno dato alcun contributo alle indagini. Che per entrambi, il fatto di non avere più alcun rapporto professionale con il gruppo Parnasi, non è sufficiente a dimostrare che siano stati recisi i rapporti con il malaffare. Il che vuole dire che i due potrebbero ancora inquinare le prove. E quindi, per il gip, devono rimanere dietro alle sbarre. Una decisione che, ancora una volta, contrasta con quella dei pubblici ministeri che, invece, si erano detti favorevoli. Come era successo per Parnasi: per loro in quelle 11 ore di interrogatorio il costruttore aveva fornito indicazioni sufficienti a fargli ottenere gli arresti domiciliari. Lo stesso vale per Mangosi e per Talone. Per il gip, però, cui spetta l’ultima parola, non è stato così. Ora, alla luce di questo nuovo incontro, la valutazione del giudice potrebbe cambiare. Possibile che arrivi una nuova richiesta di scarcerazione dalla difesa dell’imprenditore che è parecchio provato dalla detenzione.