Resta nell’immaginario dei tifosi giallorossi per una partita sola: il Roma-Fiorentina del 17 ottobre 1998, vinta 2-1. Non trovò la gloria personale, ma contribuì ai due gol della rimonta (firmati Alenitchev e Totti), facendo letteralmente “scendere” i settori dell’Olimpico con guizzi e serpentine. Da allora, quella è diventata “er Roma-Fiorentina de Bartelt”. Ne è nata una sorta di leggenda, anche se non fece gol. “Se mi chiamano dall’Italia, lo fanno spesso prima di quella partita con i viola”. Gustavo Javier Bartelt – anno 1974 – in realtà ha una sola rete all’attivo con la maglia romanista. E la realizzò al ChievoVerona, in Coppa Italia, nella prima partita ufficiale della Roma contro la formazione gialloblù. Per il resto, il suo curriculum recita 25 presenze complessive tra il 1998 e il 2000.
Ricorda quella serata al Bentegodi in coppa? “Come no, indimenticabile. Segnai, presi una traversa e creai qualche altra occasione. I giornali elogiarono la mia prestazione. Tutti parlarono bene di me, tranne uno…”.
Chi? “Zeman, il mio allenatore. Mi prese da parte e mi disse che non era contento della prova, nonostante avessi fatto gol. Mi invitò a partecipare di più al gioco di squadra e ad entrare maggiormente nei suoi schemi offensivi. Io ero un attaccante di movimento, dribblavo, non davo punti di riferimento. Il sistema, invece, prevedeva meno tocchi e più profondità. Avessi trovato maggior sintonia con lui …”.
Cosa sarebbe successo? “Sarebbe andata diversamente la mia esperienza nella Roma, credo. Dopo quella partita con il Chievo feci benissimo con la Fiorentina in casa, ma poi giocai sempre meno e non trovai lo spazio necessario per mettermi in evidenza. Avrei avuto bisogno di maggiore protezione e di qualche bella parola. Venivo da un altro continente, ero completamente spaesato. Un peccato, ora invece apprezzo tanto la tattica italiana e quelle parole di Zeman oggi le capisco”.
Con Capello come andò l’anno dopo? “Non fui convocato per il ritiro a Kapfenberg, alcuni dirigenti della società mi fecero sapere che non rientravo nei piani del mister. Io rimasi perplesso, per un motivo: Capello non mi aveva mai visto giocare. Poteva valutarmi. Successe qualche giorno dopo, a Trigoria. Facevo parte della rosa e fu costretto a vedermi in allenamento. E come notò i miei movimenti in campo, cambiò subito idea. Mi chiese: “Ma perché non ti sei allenato con noi finora?”. Io replicai e gli riportai la versione a me nota: “Perché non mi vuole lei, mister, così mi hanno detto”. Lui rispose che non era vero e che mi avrebbe tenuto in considerazione. Mi impiegò sei volte, tre in Serie A e tre in Coppa Italia. Con lui ci fu solo un problema tattico…”.
Quale? “Mi vedeva centrocampista, come alternativa di Di Francesco o Tommasi. Ma io facevo l’attaccante e volevo giocare attaccante”.
Oggi chi sceglierebbe: Zeman o Capello? “Difficile rispondere. Zeman era un bravo allenatore, ma pure un personaggio particolare. Con lui mi trovavo spesso davanti alla porta. Lo avessi seguito di più, come detto, avrei fatto meglio. Ma Capello mi lasciava maggiore libertà in campo, se mi vedeva dribblare non mi rimproverava. Due grandi tecnici, totalmente diversi”.
Ha menzionato Di Francesco, l’attuale allenatore della Roma… “Un grande “Difra”, mi aiutò tantissimo ad inserirmi nei primi giorni. Parliamo di venti anni fa, ormai, ma ricordo benissimo lui e i miei compagni di squadra come il capitano Totti, Montella, Cafu, Emerson, Candela. Ragazzi straordinari”.
Come si concretizzò il suo trasferimento dal Lanus alla Roma? “Iniziai la preparazione in Argentina con la mia squadra, poi il mio procuratore mi parlò dell’interessamento della Roma e che di lì a breve sarei dovuto partire per la Capitale. Non me lo aspettavo, fu una bellissima sorpresa”.
Il suo agente era cysterpiller… “Sì, Jorge Cysterpiller, il primo procuratore di Maradona. È scomparso un anno fa, morto suicida dopo essersi gettato dal piano di un albergo. Brutta storia. Da quello che so, all’epoca, Cysterpiller non aveva un ottimo rapporto con il presidente Sensi. Forse nella Roma pagai anche questo”.
Lei arrivò alla nell’agosto 1998 e segnò due gol all’Olimpico nell’amichevole di presentazione contro il Santos. “Pure quella serata fu bellissima, anche se alla fine perdemmo 3-2. Non era facile entrare e fare bene. Segnai due gol, perdevamo 3-0 e per poco non riuscimmo a rimontare. Posso chiedere una cosa?”.
Prego… “Mi piacerebbe rivedere quella partita. La racconto sempre ai miei tre figli, ma non ho mai avuto le immagini o un video per mostrargli sul televisore le mie giocate. Se qualche tifoso custodisce ancora la cassetta, magari potrebbe farmela avere attraverso di voi”.
Appello raccolto. I suoi figli giocano a calcio? “Ho due maschi, Santino e Vincenzo, e una femmina, Valentina. Santino – 15 anni – è bravo ed è tesserato con l’Argentinos Junior. Chissà che un domani non giochi a Roma dove ha giocato il papà. Io lo spero tanto e proverò ad aiutarlo perché sarò sempre un sostenitore giallorosso”.
Lo sa che qualche tifoso dopo quel Roma-Fiorentina andò a comprarsi la sua maglia? “Ascoltare queste parole mi fa piangere, lo dico con il cuore. Roma e i romanisti mi hanno sempre trattato bene. Avrei voluto regalargli qualche gioia in più, ma quel poco che ho fatto se lo ricordano bene. E mi basta così”.