Gli si incrina la voce e gli occhi si fanno lucidi, quando Alberto Ginulfi sfoglia l’album di ritagli dei quotidiani che gli regalò il fratello
. «Questa è la vittoria a Torino contro la Juve», dice mentre indica un titolo che recita “Mai la Roma così grande”. Un successo per 1-0, «firmato Capello e Ginulfi», scrive il cronista. Negli occhi di Alberto sembra di rivedere quei momenti e di sentire il pubblico romanista festante. «Lo stadio era sempre pieno, anche se giocavi contro la Ternana, anche quando le cose non andavano benissimo», dice più di una volta, con lo sguardo sognante di chi non può dimenticare.
Sanlorenzino classe ’41, Alberto Ginulfi compie oggi 77 anni: ha difeso la Roma dalla fine degli Anni 50 al 1974, quando un elettrocardiogramma evidenziò un’anomalia cardiaca. «Roba da poco, una cosa molto comune nei vogatori e in tanti altri atleti – racconta stringendosi nelle spalle – Ma loro si spaventarono, mi fecero stare fermo due mesi proprio quando stavo andando benissimo. E da quel momento in poi, le cose si sono complicate». Pochi giorni prima era stato chiamato in Nazionale per una partita contro il Belgio, ma Alberto non poté rispondere alla convocazione. «Un capitolo nero», sospira ricordando quei giorni.
Dalle giovanili alla prima squadra, tra i pali, Alberto si è levato tante soddisfazioni: lo Scudetto con la Juniores assieme a “Picchio” De Sisti, gli anni in panchina come vice di Cudicini prima e Pizzaballa poi, fino alla conquista del numero 1 con Herrera in panchina.Le prime due Coppe Italia della nostra storia (la seconda da protagonista assoluto) e il Torneo Anglo-Italiano nel suo palmarès non bastano – non possono bastare – a raccontare un legame sanguigno, viscerale, quasi ancestrale, che lo lega alla sua squadra del cuore. E proprio dal cuore di Roma (e quindi della Roma) comincia il suo racconto.
Lei è del ’41 ed è di San Lorenzo: ha ricordi del bombardamento del ’43?
«Sono legati perlopiù ai racconti di mio padre, che era impiegato al Ministero della Pubblica Istruzione. Al primo bombardamento ero a San Lorenzo e abbiamo rischiato, al secondo invece ci siamo salvati perché ci portò al ministero a Villa Giulia».
Ma i primi calci, anzi le prime parate, le ha fatte a San Lorenzo…
«Grazie a mio padre. Ho cominciato a Largo degli Osci, dove c’era lo spiazzo del mercato. Ora è fisso, ma prima levavano i banconi: aspettavamo le due che li togliessero per giocare fino a tarda sera».
Poi ci fu la Spes di Padre Libero…
«Padre Libero era una persona speciale. Quando fu trasferito alla Basilica di San Paolo persino un quartiere storicamente di sinistra come San Lorenzo si mobilitò».
Infine è arrivata la Roma…
«Sì, all’improvviso. Giocavo nei Giovanissimi e feci un discreto campionato. Fui convocato in una rappresentativa con i giocatori di Roma e Lazio per giocare contro quella della Toscana, ma forse ero già stato notato dai giallorossi. Nel ’58 arrivai alla Roma: vincemmo il campionato Juniores nel 59/60, poi la Coppa Primavera. C’erano giocatori come De Sisti, Carpenetti, Brunelli, Pierantoni. Una squadra fantastica. Ogni tanto ci vediamo ancora per una rimpatriata. Dispiace solo che in Serie A arrivammo in pochi».
Alla fine però lei e De Sisti ce l’avete fatta…
«C’è voluta tanta perseveranza e tanto lavoro, che paga sempre. Ho dovuto aspettare molto per fare il titolare, perché c’erano Cudicini e Pizzaballa, ma con Herrera sono diventato titolare inamovibile. Ed è stata una gioia enorme, anche perché sono sempre stato un tifoso della Roma: andavo spesso allo stadio, in Curva ancora non c’erano i seggiolini e lo stadio era sempre pieno».
Com’era Herrera?
«Molto severo. A livello di preparazione era avanti anni luce, ma giocare a quei ritmi tutto il campionato era difficile. Facevamo buone partite, ma ogni tanto dovevamo respirare e soprattutto eravamo 15-16 calciatori più qualche giovane, mica come ora. Andammo a giocare la Coppa delle Coppe con gli uomini contati».
A proposito di Coppa delle Coppe: quella monetina con il Gornik è un ricordo brutto…
«Il grande rammarico della mia carriera: dopo l’1-1 dell’andata, pareggiammo 2-2 lì e pensavamo di esserci qualificati, ma ci dissero che la regola del gol in trasferta non valeva per i supplementari. Quindi giocammo la bella…».
E ci fu un altro pari…
«Sì, perciò lanciarono la monetina e fummo eliminati, perché all’epoca non erano previsti i rigori. Cambiarono la regola l’anno dopo».
In compenso ha vinto due Coppe Italia con la Roma, oltre all’Anglo-Italiano…
«La prima da riserva, la seconda da protagonista. Nella seconda c’era Herrera, che come detto puntò molto su di me: fu una grande festa, una gioia incredibile. Perché la Roma…».
Continui.
«La Roma è la Roma, l’ho sempre seguita. Mio padre era socio vitalizio, nonostante non avessimo tutti questi soldi. Sono cresciuto con la Roma nel cuore». (…)
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