Hai fatto pochi gol, ma quello che hai fatto vale per venti…
“Anche per trenta”.
Ti sei sempre impegnato molto… “Con la massima seretà possibile, mi sentivo molto romanista e questo mi dava una marcia in più”.
C’è stato un momento in cui sentivi che la maglia giallorossa ti entrava dentro? “C’è stata un’annata in cui Radice aveva creato un gruppo meraviglioso, se devo ricordare un episodio che mi porta quasi alle lacrime era quando dovevamo andare all’Olimpico per la finale di ritorno di Coppa Italia contro il Torino, con 80mila persone dopo il 3-0 dell’andata. Solo a Roma può accadere questo. Penso che il calcio dovrebbe essere quello, forti emozioni che ti porti per tutta la vita”.
La Roma di oggi ha analogie con quella Roma? “Non lo so, non vivendola faccio fatica. È una società molto forte, è chiaro che il calcio è un po’ cambiato dai tempi in cui giocavo io. Era un calcio ancora con la maglia di lana, forse più romantico. Ma dicono che è diventando vecchi che si dicono queste cose”.
Tu qualche fallo per spezzare l’azione avversaria l’hai fatto… “Gli amici mi parlano di Messi e Maradona, se Maradona fosse stato tutelato come oggi lo è Messi, segnava qualche decina di gol in più. I fuoriclasse sono tutelati come è giusto che sia”.
Ti aspettavi la Lazio a un solo punto dalla Roma? “Non me l’aspettavo, ma probabilmente si è acceso qualcosa. L’organico è buono, l’allenatore ha fatto gruppo e ha tirato fuori il meglio dai suoi calciatori”.
È una squadra pericolosa? Che partita ti aspetti? “Sono assenze importanti, ma il derby è partita a sé”.
Qual è il segreto per affrontare il derby nel modo giusto? “È difficile, probabilmente avere un gruppo, un allenatore che ti porta a quella partita con più serenità possibile. È una partita che si sente, che valga uno scudetto, la salvezza o metà classifica. Bisognerebbe arrivarci il più tranquilli possibile”.
Mazzone appese i fogli di giornale nello spogliatoio… “Fu un bel derby quello. È chiaro che Mazzone aveva esperienza per tirare fuori il meglio dai giocatori. Ce la siamo goduta molto”.
Qual è la differenza che vedi oggi con una partita del genere? “Io lo vivo poco il calcio, ma a quei tempi c’era un calcio in cui la gente non vedeva l’ora di andare allo stadio, la sentivi proprio. Adesso c’è molto marketing, partite ogni giorno della settimana. Questo mi dispiace, la Roma non può avere accanto il tifo che ha sempre avuto”.
La Curva Sud ha portato punti? “Sì. Parlando coi colleghi faccio l’esempio, a Roma il romanista soffre con te. Ricordo quando vivevo in borgata, andavi al bar e il barista ti supplicava di dirgli qualcosa per rincuorarlo. È sintomatico”.
Era diverso giocare al Flaminio? “Era tutto un insieme di cose, era un anno di transizione. La squadra era molto unita dietro all’allenatore che sarebbe andato via, la gente l’avevi addosso. Si sentiva reciprocamente”.
La speranza di quasi tutto il mondo Roma è quella di creare uno stadio che porti la stessa atmosfera… “L’assurdità è fare il calcio moderno rimanendo attaccati agli stadi di una volta”.