Damiano, perché ha deciso di candidarsi?
«Per una serie di motivi. Non si tratta di una decisione dell’ultima ora, ma di una scelta maturata dopo Italia-Svezia. È stata molto dibattuta al nostro interno, ma alla fine pienamente condivisa. La mia candidatura è animata da un’idea di cambiamento ben precisa che possa portare avanti ciò che consideriamo fondamentale per attuare un cambiamento. In programma ci sono ancora incontri individuali con i vari presidenti delle componenti all’interno del Consiglio Federale: è un lavoro ampio e avvolgente, importante e dispendioso. La nostra rappresentanza vuole riportare al centro della discussione il progetto sportivo. Non sono parole vuote ma tendenti ad aumentare l’attenzione sull’aspetto puramente calcisitico. Italia-Svezia ha scritto la storia in maniera negativa: da lì è partita l’idea del cambiamento. Abbiamo un programma preciso. Mi sono candidato io perché i giocatori e il consiglio direttivo mi hanno spinto a farlo, di conseguenza mi sono messo a disposizione. La componente calciatori è stata fondamentale per la mia candidatura. Io mi sono messo a disposizione con la convinzione che il presidente federale debba fare gli interessi della Federazione. L’obiettivo è riprendere il filo interrotto dopo la candidatura di Albertini. Restiamo fedeli alla nostra linea. Il presidente federale deve rappresentare tutti dall’azzurro ai club. Diciamo che mi sto preparando a rivestire la maglia azzurra dopo che l’ho indossata tante volte».
Tommasi presidente della Figc cosa può cambiare nel calcio? «Le seconde squadre sono fondamentali, cambierebbero il nostro calcio a partire dal livello giovanile. Si può fare già dal prossimo anno e contribuirebbe ad inserire nei nostri campionati quegli step che esistono negli altri paesi. Tanti stranieri che sono arrivati in Italia vengono dalle seconde squadre dei propri club. In Spagna, per esempio, è altissimo il numero di giovani passati attraverso le seconde squadre che con il tempo, crescendo, si sono affermati come grandi professionisti. Abbiamo stilato una statistica che promuove la nostra idea. Gli stranieri avendo questa formazione arrivano e sono più forti dei pari età italiani quando giungono nel nostro paese. Non è un fattore da tralasciare. Incide molto sul progetto sportivo che abbiamo in testa e dovrà riguardare sia le società sia la Nazionale visto che la formazione dei nostri giovani deve essere finalizzata all’Italia. Per farlo serve la partecipazione giusta».
È fattibile in Italia? «Vedo molta attenzione su questo tema e mi aspetto, nel caso, una partecipazione importante. Per metterlo in pratica sicuramente andrà fatto un discorso ampio che dovrà prevedere incontri con i responsabili dei settori giovanili e, soprattutto, delle formazioni Primavera. C’è la volontà di sedersi intorno ad un tavolo per andare in questa direzione. Tutto dipenderà da come si applicherà questo sistema. La cosa più importante sarà quella di formare i giovani. Si dovranno convocare tutti coloro che hanno lavorato nei settori giovanili: le società sono pronte a scrivere un nuovo regolamento».
Ma il sistema calcio è pronto per avere un ex calciatore al comando? «Magari c’è ancora diffidenza perché il mio ruolo da ex calciatore è stato particolare: guido l’associazione calciatori che, in fin dei conti, ha un’attività soprattutto sindacale. La percezione all’esterno è dell’esistenza di un’idea generale di difficoltà riguardante la mia elezione. Ma io sono convinto che non ci siano problemi perché il sindacalista fa il sindacalista, il presidente federale farà il presidente federale prendendosi le sue responsabilità. A quel punto il sistema sarà pronto ad accogliere il cambiamento».
Lei si sente sindacalista dentro? «Non so cosa si pensi realmente quando si parla di sindacalista nel mondo del calcio. La nostra è un’associazione che rappresenta la categoria degli atleti all’interno della federazione, è una componente del movimento e ne fa parte attivamente. Noi cerchiamo di lavorare per formare i ragazzi in modo che capiscano bene il contesto lavorativo in cui vanno ad inserirsi. Io mi sento calciatore a tutti gli effetti perché lo sono stato, ho ancora la passione per il calcio come l’ho sempre avuta. Un mio obiettivo è sempre stato quello di coinvolgere giocatori in attività per portarli all’interno delle stanze dove si prendono le decisioni importanti. Parlare è fondamentale per poter costruire, agevola molto la creazione: alla base di tutto, naturalmente, ci deve essere una visione di insieme e idee da mettere in pratica. Se si rappresenta un gruppo è facile costruire».
La candidatura di Costacurta potrebbe farle fare un passo indietro? «Ho detto più volte che la cosa importante era trovare una persona capace di mettere tutti d’accordo. Non ho mai fatto il nome di Costacurta, un giornalista mi ha chiesto cosa pensassi di lui. Se avessi delle preferenze starei attento ad esprimerle».
Cosa pensa di Carlo Tavecchio? «Personalmente gli ho sempre detto cosa pensavo. L’ho fatto sia a quattro occhi sia pubblicamente, senza mai andare sul personale. Andava fatto un passo indietro prima di Italia-Svezia e le cose sarebbero cambiate evitando la situazione in cui ci siamo venuti a trovare. La questione andava gestita in maniera diversa. Tavecchio fa parte ancora del nostro movimento e gode di stima, lavora in Lega e resta comunque il presidente uscente. Italia-Svezia a parte, comunque, sono sempre stato contrario a quel sistema, sia sostenendo Albertini sia appoggiando Abodi. Quando mi dicono che abbiamo perso due volte, non sono d’accordo. Non abbiamo mai perso. Perderemo soltanto quando non saremo più fedeli alla nostra linea».
Cosa pensa del movimento degli allenatori? «Hanno comunicato il loro appoggio. I prossimi giorni serviranno per migliorare la situazione da questo punto di vista».
A tre giorni dalla presentazione ufficiale del programma, oltre a lei non ci sono altri candidati ufficiali. Sibilia-Lotito è la possibile alternativa a Tommasi: il bene contro il male… «La mia candidatura è di una settimana fa e non è stata pensata per rispondere ad altre candidature. Il mio nome non è per opporsi a qualcuno ma per esprimere il nostro modo di pensare. Un nome che possa unire tutti. La mia candidatura vuole essere quella che rappresenti un preciso movimento, sapevamo già che potevano svilupparsi avvenimenti strani dopo il mio passo. Attualmente non penso che la Lega di A riesca ad esprimere un proprio candidato, la considero un’ipotesi remota. Al momento non ci sono certezze. Io ho voluto anticipare i tempi e candidarmi perché alla fine dei vari incontri non era stato trovato un soggetto capace di mettere d’accordo tutti. È stata una conseguenza della situazione. Il cambiamento dovrà essere nei programmi e nelle persone oltre che nelle componenti».
Se dovesse perdere queste elezioni, quale sarebbe il suo futuro? «Continuerei a fare quello che faccio ora. La presidenza dell’Aic è incompatibile con la carica di presidente federale, non con quella di candidato. Cercherò di fare tanto nel mondo del calcio anche perché ho sentito la vicinanza di molte persone ancora prima della mia candidatura. Quando sono uscito dalla riunione ristretta in seguito a Italia-Svezia ho sentito una grande vicinanza. Bisogna essere realisti e parlare di cose concrete. Sto pensando a cosa c’è da fare in Federazione per dare una risposta concreta, non soltanto pensare a cose che non vanno bene. Adesso io non so quantificare il sostegno reale alla mia candidatura. Lo capiremo giorno dopo giorno».
Qual è la reale importanza delle seconde squadre? «Andrebbe a ridurre il numero delle formazioni di Lega pro, ovvero il primo passo per arrivare ad una riforma dei campionati. Le seconde squadre andrebbero a prendere il posto di quelle società che non ce la fanno ad andare avanti. Le seconde squadre sarebbero importanti anche ad aumentare gli introiti».
A proposito di questo argomento: il calcio continua a fare vittime illustri. Il Vicenza è soltanto l’ultimo caso… «Io ripeto sempre ai calciatori che senza le condizioni necessarie non bisogna scendere in campo, ed è l’unico modo per farsi sentire. Il Vicenza è soltanto l’ultimo esempio di club che arrivano a condizioni del genere e che non ce la fanno ad andare avanti. Se il Vicenza non continua ci sarebbe un’altra esclusione, ma ad oggi non è previsto che la società veneta non vada avanti. Il Parma insegna, poi ci sono stati altri casi. Il Modena ha dovuto abbandonare il campionato. Bisogna lavorare per limitare questi casi, magari studiando il modo di individuare prima dell’inizio del campionato quali siano le società in grado di poterlo onorare al meglio. Se uno inizia il campionato deve avere le risorse per finirlo interamente. Sono analisi da fare insieme. Ci sono imprenditori che non vogliono entrare nel mondo del calcio per timore delle dinamiche che esistono perché sanno che si tratta di un sistema in difficoltà».
È un problema che riguarda anche qualche grande club italiano, probabilmente… «Parliamo di fair play finanziario. Il problema vero è la sanzione, se la grande squadra non rispetta i parametri, escluderla diventerebbe un boomerang. La nostra volontà è che al gioco partecipino persone serie e imprenditori sani, partendo dal mondo dilettantistico».
Quindi in una Figc targata Tommasi si farebbe molta attenzione a questo aspetto? «La responsabilità alla quale vado incontro con la mia candidatura è molto più grande rispetto alla semplice guida della Federazione».
Gli stadi quanto sono importanti? «Il tema degli stadi è molto ampio, va gestito tenendo in considerazione numerosi aspetti a partire dalla necessità delle televisioni di gestire al meglio i vari palinsesti. Il boomerang di uno stadio vuoto è anche televisivo: si tratta di un tema da affrontare con la Tv che acquisterà i diritti. È interesse di tutti valorizzare il prodotto Tv. A livello di società penso che in quanto a strutture siano fondamentali i centri sportivi. I club, piccoli o grandi che siano, non possono prescindere da propri centri sportivi che devono rappresentare delle vere e proprie case. È un obiettivo preciso anche in virtù delle indicazioni della Melandri in merito alle direttive sulle strutture. Le società devono partire proprio da questo, da impianti propri, già a livello dilettantistico».
Un’opinione sulla giustizia sportiva? «Deve essere indipendente, celere e tempestiva per garantire la legalità. Deve dare certezze e favorire l’equità. Tema da affrontare tutti insieme per dare certezze che a volte non vengono garantite».
Se Tommasi venisse eletto con il 52 per cento, come riuscirebbe a governare in quel caso? «Se Tommasi venisse eletto sarebbe una rivoluzione. Basterebbe il 52% per governare? Non so, a quel punto sarebbe importante vedere chi si aggrega e come».
Le hanno offerto voti per ottenere qualcosa? «No, per adesso no. In pochi forse credono che possa fare il presidente federale, magari stanno offrendo i propri voti a qualche altra persona. Io mi sto relazionando con le varie componenti dichiarando cosa si può proporre o meno. Per adesso il mio compito è questo».
Di Lotito cosa pensa? «La sua presenza è forte nelle istituzioni sportive, si fa sentire. Lotito ha contatti importanti con le varie componenti, ha lavorato molto in questi anni per la serie A. La sua candidatura non penso però che sia proponibile in virtù, soprattutto, del suo ruolo di presidente di club: dovrebbe lasciare tutto. E non so quale componente possa candidarlo. Si sta cercando una persona che possa aggregare, che possa unire e lui non mi pare abbia questa caratteristica».
Molti si sono espressi favorevolmente sulla sua candidatura. Perché invece altri non si sono espressi? «Noi stiamo pensando a definire il nostro programma senza pensare se vinceremo o meno, chi si interfaccia con noi deve sapere su che carro sta salendo. Il nostro obiettivo attuale è far capire cosa si ottiene venendo con noi. Chi non si esprime adesso lo fa perché ha intenzione di votare chi vincerà. Intendo dire che non sapendo se la mia candidatura possa esser vincente o meno, al momento non si esprime, poi magari lo farà quando si avranno le certezze. È più facile esprimersi puntando sul nuovo presidente».
Ha pubblicato un post in cui sorrideva perché una delle sue figlie le ha chiesto se aveva fatto amicizia con gli altri candidati… «È vero, me lo ha chiesto. Io ho pensato che quando si parla di calcio si dovrebbe sorridere, invece qui ci sono faide e si guarda in la gente in cagnesco. Se dovessi diventare presidente le mie responsabilità sarebbero, dovrei preoccuparmi di raccogliere i pezzi dell’attuale federazione e cercare di trovare il modo migliore per farla rialzare. Non penso di poter entrare e avere già soluzioni pronte».
Ma per Tommasi esattamente il calcio che cos’è? «Bisognerebbe farcelo spiegare dai bambini così faremmo meno calcoli elettorali. Lo dico da genitore. Il nostro giocattolo lo stiamo utilizzando al contrario. Il calcio gode di visibilità che genera invidia, in Italia è molto coinvolgente ed è per questo che deve esprimere i dirigenti migliori, le idee giuste, i temi più importanti caricandosi di giuste e inevitabili responsabilità».
Il presidente del Coni Malagò sarebbe felice di una sua elezione? «Lui è e deve essere super partes ma fatica ad esserlo perché spesso viene chiamato in causa e tirato per la giacca. Il Coni cercherà di fare quello che potrà nel modo giusto. Ha più volte espresso la sua idea su un possibile commissariamento. Il Coni intende dare al calcio la sua centralità, noi come Federcalcio abbiamo difficoltà nei confronti del Coni. Anche in questo caso bisognerà sedersi intorno ad un tavolo e tracciare delle linee guida comuni».
Il mondo dei dilettanti è quello che diede i voti decisivi a Tavecchio nell’elezione di marzo. Poi però chiunque si rivolga ai dilettanti sa che tipo di malumore ci sia nei confronti della vecchia gestione federale. E oggi da quello stesso mondo non sembrano arrivare segnali di discontinuità… «Sì, i dilettanti rappresentano una percentuale importante. Lo vivo molto questo mondo. È un grande movimento alla base dello sviluppo del calcio. È il sale del nostro mondo, rappresenta ciò che abbiamo vissuto in passato e ciò che continuiamo a vivere da genitori. È un’area trasversale della Federazione che deve conoscere i limiti e le priorità. Anche le società dilettantistiche hanno bisogno di avere proprie strutture, hanno la necessità di sviluppare i propri centri perché, a differenza del professionismo, accolgono la stragrande maggioranza dei praticanti».
I tifosi quanto contano per lei? «Tanto. La campagna social che ho proposto dopo la mia candidatura è chiara: ha un obiettivo di coinvolgimento anche di quelle componenti che non hanno diritto di voto in modo che possano incidere sulle istituzioni. È un messaggio che considero importante. La federazione non può fregarsene dell’impatto che ha sull’esterno. Per quanto riguarda l’altro tema legato ai tifosi, quindi ai gruppi organizzati e alle curve, sono naturalmente importanti, ma servono delle regole che vanno condivise. Le società adesso possono sanzionare i propri tifosi, scegliere un certo tipo di pubblico. Non voglio dire che lo stadio debba essere un teatro, e che ognuno debba stare al proprio posto in silenzio, ma significa andare allo stadio per stare bene. Come accade nei locali dove non si può fumare: il fumatore li frequenta ma sa che non può fumare. È necessario stare all’interno di regole. Il pubblico è fondamentale ma va disciplinato».
Cosa pensa della Var? «Lunedì c’è una riunione durante la quale si discuterà su questi primi mesi di utilizzo. È uno strumento importante ed ha tolto numerosi dubbi, va migliorata sicuramente ma penso che ormai sarà difficile farne a meno. Ha ancora delle perplessità, le mie personalmente sono due: per prima cosa penso che nell’uso della Var vada inserita l’analisi della seconda ammonizione che può portare al cartellino rosso, ritengo che debba essere un caso da tecnologia. Poi penso che debba essere l’arbitro a richiamare l’uso della Var e non gli altri collaboratori a bordo campo. La chiamata da parte di giocatori o allenatori? La eviterei, deve essere uno strumento degli arbitri per facilitare la direzione di gare. Un arbitro ora ti dice che non se ne può più fare a meno. L’introduzione della Var ha portato benefici».
Lei ha chiamato in causa Totti e Buffon? «Sono atleti che hanno vestito la maglia della Nazionale, sono stati pilastri che hanno dato tanto. Sarebbe bello riuscire a coinvolgerli. Ma non sono nomi che ho fatto io, ho solo risposte alle domande».
Chi chiamerebbe come allenatore della Nazionale? «Nessuno. Lo farei io».
https://youtu.be/0lX4R-NpWSY