Poiché anche la fortuna è un concetto relativo, Pallotta è un uomo fortunato. Anche se non lo sa. È fortunato perché non vive a Roma e vive la sua Roma di riflesso. Non gli accade di girare per la città e di toccare con mano quale febbre ha acceso l’ipotesi, la speranza, o anche solo l’illusione di veder arrivare Antonio Conte, folgorante come l’immaginazione di un tifoso assetato può rappresentarselo.
Questa distanza tra il presidente e la sua gente è una sordina delle emozioni. Protegge a modo suo, ma al prezzo di non far sentire e non far vedere. È, perciò, una fortuna relativa. Ma di fortune relative è costellato il cammino dei perdenti. Non c’è da augurarsi che questo destino tocchi al magnate americano e alla squadra capitolina.
Se Pallotta potesse vedere e sentire quello che vediamo e sentiamo noi, si accorgerebbe che ai tifosi giallorossi Conte fa l’effetto che Napoleone faceva ai primi patrioti repubblicani. Di lui si parla nei bar, in una buona metà dei taxi che circolano per Roma, nelle pause di lavoro di molti ministeri, e perfino in certi circoli vaticani di fede romanista, dove l’immagine dell’ex cittì si materializza in quella di un beato, disceso dall’empireo come diretta emanazione della bontà divina.
Tanto è grande questa attesa, quanto grande è la delusione per la stagione che sta per concludersi. Neanche l’eventuale qualificazione in Champions potrebbe voltarla in entusiasmo. Sarebbe, al più, un balsamo su una ferita aperta, che rischia di diventare una piaga.
Troppe cose sono andate per il verso sbagliato. È mancata un’organizzazione societaria stabile e autorevole. I suoi membri sono parsi fin qui cortigiani dalle alterne fortune, in perenne rivalità tra loro. È mancata una strategia di mercato capace di investire su un gruppo squadra solido e di aprire un ciclo. È mancata, di riflesso, la fiducia tra la società e i tifosi. La cui fidelizzazione si nutre di simboli e di ricordi, con l’effetto di diventare pian piano una memoria ammalorata. Se in questo clima Conte appare come Napoleone il liberatore, è perché Pallotta rischia di somigliare a un miope imperatore asburgico.
Perché ciò non accada, il presidente deve scommettere. Farlo subito. Assumere il condottiero che può rimettere insieme i cocci aguzzi di una stagione che declina in un tramonto pallido, e farne un puzzle vincente. C’è il Psg che corteggia l’allenatore leccese? Pallotta vinca quelle lusinghe con la forza di un’offerta italiana. C’è l’Inter che promette mari e monti? Pallotta dimostri che la scommessa di un grande finanziere americano sulla Capitale vale, ancora, più della concorrenza cinese. Serve una prova di forza. Ma serve anche una prova di fiducia. Che confermi la vera natura del rapporto tra Pallotta e la Roma. Se la Roma è un affare ma anche un amore, bisogna investire e amare. Se lo stadio è un mezzo per vincere e non solo un fine per speculare, si deve fare una grande squadra che pretenda uno stadio degno, prima di uno stadio degno che giustifichi una grande squadra.
Per una concatenazione di cause e di suggestioni, Conte è il prologo di una bella avventura. O piuttosto il disvelamento di un mezzo inganno. Pallotta dica come dobbiamo raccontarlo.
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. Barbano