La frase che accompagna il suo profilo Twitter recita: “Guadagnare il rispetto degli altri avendo il coraggio di essere se stessi”
«È del Dr. House, quello della serie tv».
Lei è sempre rimasto se stesso? «No. È un’impresa difficile da realizzare. Ma ci ho provato e per questo ho scelto quella frase.»
E in quali occasioni non è rimasto fedele alla sua personalità? «La gente pensa che essere figlio di un grande calciatore ti faciliti le cose, se decidi di seguire la stessa strada. Non è così. Io sono arrivato ragazzino al Boca, dove mio padre aveva vinto tutto, e mi sentivo dire che se stavo lì, era solo perché raccomandato. Questo mi ha reso diverso da com’ero più chiuso, diffidente.»
Si è scritto di Perotti introverso… «Posso dare questa impressione davanti a una telecamera. ma nello spogliatoio e in casa sono uno che gioca. Anche troppo. Faccio gli scherzi. I dispetti. Sorpasso il limite. Julieta ogni tanto mi implora: “Basta…”. Mia madre, che è separata da mio padre quando non ne può più e si incazza, dice che sono uguale a lui.»
Un dispetto che si può raccattare? «Il mio compagno di squadra Salah è molto riservato e pudico. Sotto la doccia lo tormento “Fatti baciare, fatti toccare”».
Sua moglie e suo figlio hanno certamente cambiato la sua vita: ma come? «Nei primi anni in Spagna ho vissuto da solo. Ero giovane e Siviglia è una città piena di belle ragazze. Ho approfittato della situazione e del fatto di essere un calciatore. Io e Julieta siamo della stessa città, Moreno, ci conoscevamo da bambini ma non avevamo mai legato molto. Poi, io 21 anni e lei 19. Abbiamo iniziato a frequentarci quando tornavo in Argentina per le vacanze. Per un anno e mezzo ci siamo visti a singhiozzo perché per questioni legate al permesso di soggiorno lei non poteva restare a Siviglia per più di un mese: è stata dura. Julieta mi ha dato equilibrio e tranquillità. Prima di lei non avevo mai avuto una relazione stabile. Ho capito che fa differenza tornare a casa dopo una partita andata male e sapere che c’è qualcuno che ti sta aspettando. Due anni fa ci siamo sposati e l’anno scorso è arrivato Francesco (…)».
Rispetto ai tempi del Genoa lei punta di più la porta: è una crescita sua o glielo ha chiesto Spalletti? «Se devo essere sincero. tanti allenatori mi hanno chiesto di tirare di più. Non dovrei dirlo, ma segnare mi viene difficile. E non voglio che diventi un’ossessione altrimenti è peggio. Certe volte vedo dei colleghi che tirano da posizioni per me impossibili e penso: “Ma come fa a vedere la porta? Io non la vedo”. Per me è naturale servire l’assist anche quando sarebbe più facile tirare».
II “10” che ha tatuato suI collo rappresenta il numero di maglia che non osa chiedere a Totti? «La verità è che questo tatuaggio ne copre un altro, un bacio che non era venuto bene. Il 10 è un numero che mi piace fin da piccolo, ma non c’entra con Totti: non mi permetterei mai di chiederlo, per rispetto suo e della Roma».
Ma lei si sente l’erede del capitano, almeno per capacità tecniche? «No. Ho avuti la fortuna di giocare con Riquelme e con Totti ed è frustrante vederli calciare ogni giorno e sapere di non poter mai neanche avvicinare il loro talento. È come una barriera che ti separa da loro e sai che non potrai mai scavalcarla».
Con Totti siate amici? «Non andiamo a cena insieme ma parliamo di calcio. Mi piace fargli qualche domanda, ma cerco di non scocciarlo più di tanto. Verso determinati giocatori ho un rispetto particolare. Avere un papà calciatore in un’epoca tanto diversa mi ha insegnato ad avere un certo atteggiamento. Quando sono arrivato in prima squadra al Deportivo Moron se non c’era posto in spogliatoio mi cambiavo in piedi. Oggi un ragazzino della Primavera si rifiuta di stare in mezzo quando si fa il torello, e se lo racconto a mio padre lui mi risponde: “E tu non lo prendi per il collo?”. Mi mantengo a distanza da Totti: se non è lui a ridurla, non sarò io ad accorciarla».
Lui e Spalletti si sono schierati per il nuovo stadio: è fondamentale? «Sì, vorrei avere i tifosi più vicini al campo. Forse non lo scudetto, ma sicuramente avremmo qualche punto in più».
A fine ottobre il suo allenatore disse: «Chi di voi non riesce a reggere la pressione è pregato d cambiare aria»… «Roma è una città che ti dà pressione. Ma è una pressione che deve stimolarti, non impaurirti. Sono argentino e conosco i tifosi del Boca: qui è uguale. Non puoi accontentarti del piazzamento, devi alzare un trofeo. Ma credo che nessuno di noi se la faccia addosso. Fazio, per esempio: io sono in camera con lui. La sera appoggia la testa sul cuscino e dorme all’istante. Sono io quello che fa un paio di giri della stanza. Sono innamorato di Roma e mia moglie non si vede in nessun altro posto».
Perotti, il meglio deve ancora venire? «Penso di sì. Spero che questo non sia il mio massimo livello. Ma è stato difficile arrivare fino a qua e, se guardo indietro, non posso che essere contento di quello che ho fatto».