Quando il presidente romanista Pallotta ha fatto partire la propria intemerata contro le radio romane, ha dimenticato un dettaglio non esattamente trascurabile: ogni romano trascorre mediamente 87 ore all’anno nel traffico. E indovinate cosa fa in tutto quel tempo? Facile: ascolta la radio. Nell’epoca della tv on-demand, a fare opinione è ancora un mezzo vecchio di 120 anni. A Roma una persona su 8 ogni giorno sale in macchina, gira la chiave e si sintonizza sulle frequenze che parlano di calcio, lasciandosi ipnotizzare da dibattiti, polemiche, discussioni senza soluzione. La Roma, la Lazio: il fenomeno è tentacolare, 7 frequenze che parlano delle due squadre senza soluzione di continuità, dall’alba a notte fonda, mille ore settimanali di vociare. Si chiamano Teleradiostereo, Rete Sport, Centrosuono Sport. Oppure Radio Radio, Radio Sei, Radio Incontro Olympia. Tutte fanno da cassa di risonanza per lamentele anche becere quando le cose vanno male, ossia spesso, e i loro speaker sono star dell’etere, idolatrati da folle ma anche invisi agli ascoltatori della radio “rivale“. Hanno nomi mitici, evocativi: su tutti Marione, il capo popolo ex Nar che attorno a sé ha fondato un seguito quasi fideistico. Le radio a Roma sono diventate la terra di mezzo in cui si mescolano la voce di giornalisti affermati, le opinioni degli ex calciatori a libro paga e quelle del tifoso più estremo che telefona. In quel minestrone gli eccessi sono inevitabili, e anche personaggi qualificati scivolano nel grottesco: c’è chi ha paragonato lo stadio della Roma a Rigopiano solo poche ore dopo la tragedia, chi ha definito il team manager romanista una “spia“, chi ha accusato un direttore sportivo di prendere le “stecche” per comprare calciatori. Persino chi ha confezionato dossier fasulli su presunte appartenenze a logge massoniche dei dirigenti giallorossi.
Non tutte le emittenti sono uguali, ma Pallotta da Boston fatica a distinguere le differenze. Se ne è augurato “la bancarotta” collettiva e certo non è stato elegantissimo, ma forse le conseguenze peggiori le ha avute lui stesso: le radio l’hanno vissuta come un’onta, hanno risposto al fuoco consapevoli che un’ orda di fedelissimi ne avrebbe sposato la causa. Inevitabile, se quella voce rappresenta per il tifoso il principale intrattenimento di pomeriggi e mattine passati in coda sul Raccordo Anulare. Ma pure i calciatori ne accusano la forza, se un totem come De Rossi ebbe a occuparsene parlando di «maiali col microfono» . Al nord, da Milano a Torino passando per Genova, la radio è un accessorio che poco ha a che fare col tifo. Lì gli influencer del tifo vanno in video sulle tv locali, da Telelombardia a 7 Gold e Odeon. Solo a Firenze il fenomeno radiofonico ricorda per diffusione quello romano. È antico, e oggi che la mitica Radio Blu è in crisi altre – Radio Bruno, Radio Toscana, Lady Radio, Radio Fiesole hanno riempito il palinsesto: 270mila fiorentini sono quotidianamente incollati alla radio per sentir parlare di Pioli, di Chiesa e dire animatamente la loro. A Napoli almeno tre voci riempiono gli Fm: in ogni bar le casse diffondono la voce di Radio Kiss Kiss, Radio Marte o Radio Crc. Le prime due sempre “morbide” con la squadra, solo l’ultima fa spesso saltare i nervi a De Laurentiis dando voce a procuratori intenti a chiedere nuovi contratti, più soldi o la cessione del calciatore che assistono. Scossette telluriche che intrattengono per un pomeriggio negozianti e clienti, ma con poche conseguenze su Mertens e soci. Come a Bologna, dove sono rimaste un paio di emittenti – Radio Bologna 1 e Radio Nettuno, la radio ufficiale – a chiacchierare della squadra di Donadoni. Mica come quando Radio International faceva imbufalire i presidenti rossoblù e poi li accoglieva come ospiti per sancire la pace da pari a pari. Il mondo va avanti. Ma mentre la Juve ispira una serie su Netflix, Pallotta e Lotito hanno dotato le loro società di una loro radio ufficiale. E Roma fischietta irriverente “Pallotta killed the radio stars“.