Finisce l’avventura europea della Roma, e forse di Di Francesco sulla panchina giallorossa, nel modo più doloroso possibile, con l’Uefa che piazza un arbitro polacco, Marciniak, al Var e questo col joystick la decide come fosse un videogame, con la complicità del collega turco Cakir in campo: ai quarti il Porto, con un rigore che non c’era al 115′ di una partita tiratissima (Florenzi s’intreccia con Fernando, che però ha una spalla in fuorigioco, su un palla lunga su cui peraltro non sarebbe mai arrivato: ma Cakir lo va a vedere e lo assegna, e Telles lo trasforma), eliminata la Roma, con un rigore che c’era al 120′ per un contatto Marega-Schick che il polacco decide di “revisionare” tenendo tutti col fiato sospeso, ma senza chiamare il suo collega turco al controllo in campo, così decide lui che il contatto non è evidente e si continua a giocare e la partita finisce 3-1.
E che gli dei del calcio si siano accaniti contro la Roma e i suoi tifosi è testimoniato dalla doppia occasione fallita da Dzeko nel cuore del secondo tempo supplementare, gettando al vento due volte il pallone del secondo gol, che avrebbe qualificato la Roma (a quel punto il Porto avrebbe dovuto farne 4) e persino impedito quello sfacelo finale: ma al 111′ Edin, dopo essere rientrato sul destro da dentro l’area, ha tirato alto e al 112′ ha sprecato la più facile delle occasioni, con la Roma che pareva tracimare nell’area avversaria, stoppando solo davanti a Casillas un pallone prezioso di Cristante, saltando persino il portiere con un pallonetto che però è risultato corto visto che Pepe in disperata scivolata è riuscito a respingere prima che entrasse nella porta. E quando sprechi due palle così, in una partita che è arrivata ai supplementari con due squadre allo stremo delle forze, con tutto quello che c’è in palio oltre alla qualificazione, dai soldi per la società al futuro dell’allenatore, allora è destino che qualcosa debba andare storto, che alla Roma quest’anno succede sempre. E alla fine i giocatori crollano tutti sul campo, Florenzi piange, Di Francesco va via subito, consapevole del suo destino.
La gara Eusebio aveva deciso di giocarsela a modo suo, ben consapevole dell’importanza dell’evento, non solo per la stagione della Roma, ma anche per lui e per la sua carriera. Così di fronte a Olsen, ha scelto di aggiungere un difensore per garantire comunque superiorità numerica centrale con i due attaccanti portoghesi (Manolas, Jesus e Marcano contro Marega e Tiquinho Soares), pareggiando il numero dei centrocampisti del Porto (da destra a sinistra Karsdorp, De Rossi, Nzonzi e Kolarov) e allargando Zaniolo e Perotti intorno a Dzeko, pronti a rientrare in fase di non possesso per garantire la giusta densità centrale. Questo il piano, ma la sua applicazione è costata la rinuncia iniziale a qualsiasi velleità offensiva perché in campo i giocatori della Roma sembravano attenti soprattutto a non sbagliare lo scaglionamento difensivo, con i due esterni di centrocampo pronti a scalare sui quarti portoghesi, disegnando così spesso un 541 molto difensivo che, se ha garantito una certa impermeabilità iniziale, precludeva ogni possibile ripartenza per l’enorme distanza con Dzeko, isolato lassù a lottare su ogni rinvio. 8…)
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