In Campidoglio è quasi notte, le finestre sono ancora illuminate, la sindaca Raggi va avanti e indietro tra la sua stanza e quella in cui si tiene la riunione di maggioranza con i consiglieri pentastellati. Il clima è quello del 13 giugno, quando vennero arrestati Luca Parnasi e Luca Lanzalone, oppure quello di altre epoche, quando altre inchieste giudiziarie travolsero come uno tsunami le giunte di centrodestra e di centrosinistra. Raggi si dice «fuori di sé dalla rabbia», prova a passare al contrattacco, l’arma di difesa che ha utilizzato spesso in questi due anni e mezzo.
Sindaca, si aspettava questo coinvolgimento di De Vito, uno degli esponenti di punta di M5S, nell’inchiesta sullo stadio? «Sono furiosa. Da due anni e mezzo stiamo riportando legalità e trasparenza nel governo di Roma per poi scoprire che qualcuno, invece di giocare in squadra con noi, pensava ai suoi interessi personali e non al bene della città».
Lei oggi ha sentito Luigi Di Maio. Cosa vi siete detti? «Che il Movimento 5 Stelle ha gli anticorpi vivi e che a Roma bisogna andare avanti per portare a termine ciò che è stato iniziato nell’interesse dei cittadini. Sono sempre stata garante della legalità e continuerò ad esserlo».
Eppure, in due anni e mezzo, siete passati dal grido «Onestà, onestà», agli arresti per corruzione. Cosa rimane della diversità cinquestelle da voi sbandierata? «Rispetto agli altri partiti, M5S ha reagito immediatamente con l’espulsione di De Vito, già poche ore dopo la notizia dell’arresto. Questa è la differenza. Chi sbaglia paga. Non c’è spazio per chi sfrutta la politica per perseguire interessi personali».
Qualcuno le imputa i due pesi e due misure: condanna per De Vito, garantismo ad esempio per il direttore generale del Comune, indagato per la vicenda Ama… «Sono due situazioni non paragonabili».
Forse perché con De Vito c’è stata qualche scaramuccia? Lo considera un avversario politico? «Be’, è noto che lui e Roberta Lombardi non mi amavano. I nostri erano rapporti d’aula».
Ha mai conosciuto l’avvocato Camillo Mezzacapo, l’amico di De Vito? «Gli ho fatto un colloquio, insieme ad altri, per il Cda di una società partecipata della Città Metropolitana. L’ho scartato perché non mi convinceva».
Ma se fosse all’opposizione, non chiederebbe le dimissioni del sindaco? «Io e la mia maggioranza andiamo avanti determinati e compatti. C’è un programma da portare a termine. L’ho detto anche ai consiglieri: abbiamo un progetto comune».
Ma, alla luce dei fatti, che fine fa il progetto stadio? «Parlano le carte. Gli inquirenti hanno ribadito che l’inchiesta non riguarda gli atti amministrativi relativi allo stadio. Io ho fatto comunque avviare un’ulteriore indagine presso il Politecnico di Torino, un ente terzo, per verificare se si tratti di un progetto realmente utile alla città».
Ma come potete andare avanti con questo clima? «A testa alta. E con la consapevolezza che non si devono mai abbassare le barriere nei confronti della corruzione. In questi anni c’è stato un continuo tentativo di infiltrazione da parte del vecchio sistema. Con il contributo determinante della magistratura siamo riusciti a respingere ogni attacco. Se c’è qualcuno che ha sbagliato, è giusto che paghi. Non faccio sconti».
Ma non sente almeno la responsabilità di non aver fermato il progetto stadio a giugno, quando vennero arrestati Lanzalone e Parnasi? «Per prima cosa ricordo che questo è uno dei progetti ereditati, che se avessi bloccato senza una valida motivazione, avrebbe determinato pesanti obblighi risarcitori a carico di Roma Capitale con connesso danno erariale per l’ente. La conferenza dei servizi che coinvolge tutte le istituzioni competenti e per i pm il progetto è regolare. Se non lo fosse, sarei la prima ad intervenire. In ogni caso io e la mia maggioranza abbiamo migliorato un progetto sbagliato, dimezzando le cubature».
Ma perché si è tanto intestardita sullo stadio? «Mi intestardisco su mille progetti che porto avanti per Roma, ma forse qualcuno non ne parla: i 600 bus nuovi acquistati, le nuove corsie preferenziali, i bus turistici fuori dal Centro, lo sblocco di un miliardo di euro di investimenti per Roma, l’aver raso al suolo le ville dei Casamonica… Vuole che continui?»
Nelle carte dell’inchiesta, però, ci sono altri progetti nel mirino: gli ex Mercati Generali, l’hotel a Trastevere, l’ex Fiera di Roma. Possibile non si fosse mai accorta di nulla? «Ho chiesto agli uffici di avviare una nuova due diligence, un’ulteriore verifica su tutta la procedura che riguarda gli altri progetti attenzionati dall’inchiesta».
Non si sente un po’ come l’ex sindaco Ignazio Marino, anche lui «ignaro di tutto»? E non è una colpa non aver saputo fare da filtro, visto che in Campidoglio continuavano a prosperare gli stessi imprenditori di prima? «Non è così. Se qualcuno pensa di poterci infettare sappia che non ci riuscirà. Siamo stati eletti per scardinare l’intreccio perverso tra politica e affari in questa città e lo stiamo facendo».
Mancano poco più di due anni alla fine del suo mandato. Su questo punto lei è stata sempre molto evasiva: si ricandida o no? «Lavoro per il bene di Roma. Non penso ad altro».