Ha messo a tacere tutti ancora una volta, Edin Dzeko. Compresi quelli che lo accusavano di non realizzare mai gol decisivi. E ancora una volta l’ha fatto nella lingua che conosce meglio. Non il bosniaco, né l’inglese, il tedesco, tantomeno l’italiano. Edin ha scelto la lingua universale del calcio, quella che possono capire tutti, ma proprio tutti, perché arriva diretta al cuore e non lascia spazio a cattive interpretazioni. E l’ha scelta nella serata più importante della stagione, perché non può essere solo un caso se è proprio il bomber che a gennaio aveva la valigia pronta, ma poca – pochissima – voglia di partire a mettere la firma sullo storico passaggio ai quarti di Champions della Roma.
Una piccola grande impresa se consideriamo che un risultato di questa portata nella Capitale mancava da 10 anni: da quando la squadra di Spalletti eliminò il Real Madrid di Raùl. Praticamente una vita fa. Da quel giorno ne è passata di acqua sotto i ponti, di allenatori, di giocatori e anche di prime donne. Ma mai nessuno era riuscito a mettersi la Roma sulle spalle e trascinarla fuori dal proprio orticello. Ce l’ha fatta ieri Edin Dzeko, il gigante buono che ha imparato ad essere cattivo, l’uomo silenzioso che ha cominciato a far rumore, il ragazzone timido che è diventato trascinatore. E se la Roma è tra le prime 8 squadre d’Europa lo deve soprattutto al suo numero 9, che ieri ha realizzato il 17° gol stagionale, il quarto in Champions League, dove ha messo a segno solo reti pesantissime, come la doppietta allo Stamford Bridge e il gol al Qarabag.
E anche se Dzeko alla fine sottolinea che la “standing ovation deve essere per tutta la squadra perché abbiamo meritato il passaggio del turno” è innegabile come la gioia per lui sia doppia: perché in carriera non aveva mai superato gli ottavi e perché non gli era mai capitato di segnare in una fase finale di Champions League. Non solo, con quello di ieri ha messo a segno il 14° gol nelle competizioni europee scavalcando Delvecchio nella classifica dei marcatori giallorossi e piazzandosi sul podio alle spalle di Manfredini e Totti (18 e 38 gol). E poco importa se a gennaio il Chelsea sembrava ad un passo: “Non volevo andare via – ha ammesso il bosniaco – Sono voluto rimanere per giocare partite come questa. Abbiamo fatto una cosa che non succedeva da 10 anni, è un grande orgoglio“. Venerdì il sorteggio dei quarti, tra le più abbordabili il Siviglia di Montella, ma Dzeko preferisce non sbilanciarsi: “Ogni avversario che incontreremo sarà forte ma se siamo tra le migliori 8 vuol dire che siamo forti anche noi“. Vai a dargli torto…