Se c’è un volto fra gli undici in campo che rappresenta l’eterna lotta fra Bene e Male, fra Roma e Juventus, è quello di Daniele De Rossi. Autentico, puro, romanista. Sarà lui a guidare la squadra questa sera, con la personalità come in campo. Capitano, regista, ultimo baluardo prima della difesa. Come in ogni partita. Ma questa volta un po’ di più. Anche se in ballo non c’è una qualificazione in Champions che ormai è nostra. I discorsi con le inseguitrici sono stati chiusi prima della sfida con la Juve ma è sempre meglio arrivare terzi che quarti, soprattutto se i possibili quarti sono i dirimpettai; perché è cosa buona e giusta accomiatarsi dall’Olimpico con una vittoria; perché ci sarebbe molto più gusto a farlo contro i rivali di sempre. Lanciando già il guanto di sfida per la prossima stagione, come se questa fosse solo un prologo.
Eppure De Rossi questa rivalità l’ha vissuta in modo differente rispetto ai capitani del passato. Con Totti ad esempio, la sfida era pepata anche nelle dichiarazioni: memorabili alcuni scambi a distanza (come ravvicinati). Il 10 si è trovato ad affrontare più volte i bianconeri ben prima che il sistema fosse scoperchiato dall’inchiesta di Calciopoli. Avvertendo anche il sapore acre di risultati estorti e non nascondendo mai la terribile sensazione di sentirsi defraudato. La storia gli ha dato ragione, ma troppo tempo dopo e a bacheca inalterata (la nostra; quella loro conta due titoli in meno, checché ne blateri il negazionismo di stampo sabaudo).
Il numero 16 è diventato uno dei leader della Roma quando l’antagonista per il titolo si chiamava Inter. Poi la squadra ha attraversato un fisiologico calo nel passaggio fra un ciclo e l’altro, prima di riproporsi ai vertici, contro una Juve che però negli ultimi anni è sembrata spesso irraggiungibile, anche grazie a uno stadio di proprietà che ha costituito senz’altro un valore aggiunto. Lì la Roma non ha mai vinto. All’Olimpico però la musica è stata spesso diversa. E più di una volta proprio grazie alla firma di De Rossi. Per dirla con i Radiohead, Karma police. Il Capitano ha realizzato tre gol ai bianconeri (tutti nella Capitale), sua seconda vittima prediletta in campionato. Non poco per un giocatore che difficilmente si presenta sotto porta. Un destro da distanza siderale in un’occasione non felice, una sconfitta all’alba della stagione 2009/10 che costò le dimissioni del primo Spalletti. Poi un pareggio durante la gestione Luis Enrique, sugli sviluppi di un corner e giocando da difensore centrale, a coprire le spalle al giovane Viviani. Infine alla terzultima dell’anno scorso, in un 3-1 dal doppio significato: ipoteca sulla Champions per la Roma, festa tricolore rinviata per la Juve. La speranza è di rivivere un déjà-vu a dodici mesi di distanza. Il condottiero c’è. Con una nuova maglia che ha preso quelle sembianze evocate proprio da lui in un’intervista all’Uefa di qualche mese fa: «Ho sempre i brividi quando la indosso. È come se mettessi un’armatura: non sempre funziona, non sempre è vincente, ma è quello che sento io». Anche noi.