Grobbelaar, stavolta come andrà a finire?
«Come quell’altra. Vincerà il Liverpool e poi anche la finale».
Lei è passato alla storia come un clown. «Ma sono ancora qui che rido».
Come le saltò in mente il balletto? «Non lo so, non chiedetelo a me. Improvvisai. Mi sentivo le gambe come due spaghetti flosci, anche la rete sembrava uno spaghetto e così la mangiai. I fotografi erano impazziti, io strizzavo l’occhio e scuotevo la testa. Così Bruno Conti sbagliò».
Per colpa sua? «Forse. Mi misi a ballare come negli anni Sessanta, le mani sulle ginocchia, sapete, quando poi si incrociano. Dovevo tenere i piedi sulla linea di porta, non avevo molta scelta e funzionò»,
Anche Conti, prima del tiro, si era messo a saltellare… «Una specie di danza. Ma si capiva che erano nervosi».
Anche Graziani? «Ricordo che prese il pallone e disse qualcosa all’arbitro, poi si fece il segno della croce prima di calciare. Io ormai ci avevo preso gusto e ridevo. Tirò alto».
Bruce, lei è passato alla storia di quella finale senza neanche una parata: non le pare assurdo? «Ma io ho fatto qualcosa di meglio, di più difficile, ho paralizzato la Roma. E comunque giocammo molto bene, eravamo la migliore squadra d’Europa. Voi ricordate solo il balletto, però quel Liverpool era formidabile: Souness, Kennedy, Ian Rush».
Un anno dopo quel circo, l’Heysel… «Pensai di smettere col calcio, non lo feci solo per l’aiuto della mia famiglia. Ma la strage fu provocata dai fascisti di Londra, non dai nostri tifosi, sono sicuro di questo. Come sono sicuro che non si doveva giocare, ma che la Juve vinse meritatamente una gara vera e festeggiò come doveva».
A proposito, ha visto cos’è successo a Madrid? «Il portiere ha sempre ragione e Buffon più di tutti. Nessuno come lui, ma io amavo Zoff».
Si immaginava che la Roma riuscisse a battere Messi? «Non ho visto la partita d’andata, però che noia il Barcellona. Sono contento che qualcuno l’abbia eliminato: il calcio è velocità, corsa, cross e tiri, non palleggio infinito, anche se ormai gli spagnoli hanno un po’ cambiato il loro modo di giocare. Il calcio è quello del mio vecchio Liverpool e anche del Liverpool di oggi. Uno spettacolo. Il calcio è una faccenda inglese, mica per niente l’hanno inventato loro».
Nel Liverpool gioca Salah, un ex romanista… «Bisogna essere matti per vendere un giocatore del genere, oppure aver bisogno di molti soldi».
Il calcio le piace ancora? «Quello dei ragazzi soprattutto. Fino a gennaio ho allenato i portieri dell’Ottawa Fury, in Canada, poi ho smesso. Ma il football rimane assai migliore di tutto quello che lo circonda, e di certa gente».
La accusarono di partite truccate: si riferisce a questo? «I giudici mi hanno portato via tutto, ma alla fine nessuno ha saputo dimostrare la mia colpevolezza per il semplice fatto che ero innocente».
È vero che è diventato quasi povero? «Diciamo che non sono ricco, ma va bene così».
Lei ha fatto anche il concorrente di un reality per cuochi: non teme di avere un po’ macchiato la sua immagine? «Di salsa? No, non mi sono mai vergognato di niente in vita mia»
Quanto le sono serviti i sogni, le utopie? «Quand’ero in guerra dicevo ai compagni che un giorno avrei giocato in Europa e loro mi rispondevano sì, sogna pure che magari stasera una granata ti stacca la testa».
Ha sempre voglia di scherzare e ridere? Come fa, a sessant’anni suonati? «Ho combattuto la guerra civile in Rhodesia, come si chiamava allora, a diciotto anni ho ucciso il mio primo nemico, ho rischiato la paralisi per colpa della poliomielite: quando vivi e superi tutto questo, o diventi matto oppure hai solo voglia di ridere. E poi parliamo di calcio, ragazzi. Una magnifica fesseria».