Mentre negli Stati Uniti si gioca la finale del campionato di football, nello stesso giorno, domani sera, in Serie A si sfidano le due squadre con proprietà americana del nostro calcio. Idee, progetti e dubbi (di parte dei tifosi) su due management che promettono di cambiare il nostro calcio.
Non siamo ai livelli di Patriots Rams,non avrà la risonanza dell’evento a stelle e strisce, ma domani sera, nel nostro piccolo, anche noi avremo il nostro Super Bowl. Un Super Bowl all’amatriciana, visto che si gioca all’Olimpico di Roma,la palla sarà rotonda e non ovale e gli atleti indosseranno calzoncini e non pantaloni imbottiti. Insomma, è calcio e non football americano.Ma l’America c’entra lo stesso: se non in campo, in tribuna.Perché, a sfidarsi, sono le due proprietà statunitensi della Serie A, Pallotta contro Singer,a capo rispettivamente di Roma e Milan. Uomini ricchi e di successo, peraltro amici da anni e con un obiettivo comune: lanciare ad alti livelli (rilanciare,nel caso dei rossoneri)i due club, nel quadro di un programma ancora più ambizioso: «Lavoreremo fianco a fianco per il bene del campionato. Singer può far tesoro di otto anni di miei errori e di cose tipo “di chi ti puoi fidare e di chino”.Insieme vogliamo restituire qualità e importanza alla Serie A».Parole e musica di James Pallotta, dal 2011 proprietario della Roma, e che in teoria dovrebbero suonare dolci alle orecchie dei tifosi. E invece.
GLI AFFARI SONO AFFARI Business is business, gli affari sono affari, e vallo a spiegare proprio ai tifosi di Milan e Roma che, in quanto tali, alimentano la propria passione di sogni. Abituati com’erano ai proclami, alle promesse e agli acquisti annunciati–e realizzati, almeno ai tempi belli – con squilli di tromba e rullo di tamburi da Silvio Berlusconi e Franco Sensi, i precedenti padroni delle loro squadre, sono ora costretti a fare i conti con una visione, e la conseguente gestione, meno romantica e assai più pragmatica dei club per i quali palpitano. Perché proprio questo è il nodo, la base di ogni discorso sulle due squadre che si affrontano domani per la seconda volta in stagione dopo la vittoria 2-1 dei rossoneri all’andata con un gol di Cutrone, imbeccato da quel Gonzalo Higuain appena passato al Chelsea a causa dei suo i mal di pancia ma anche della nuova filosofia aziendale dettata da Paul Singer, proprietario di Elliott, il fondo che nel luglio scorso ha prelevato il Milan dalle mani inadempienti del misterioso cinese Li Yonghong. A lui il fondo americano già aveva prestato 303 milioni per consentirgli di concludere, nel 2017, l’acquisto della società da Berlusconi. Da lui, per il mancato rimborso di una rata pari a 30 milioni, ha prelevato la società stessa a luglio dello scorso anno. Da affari di cuore, come lo stesso Berlusconi aveva sempre definito la “sua” creatura,Milan e Roma sono diventati insomma soltanto e semplicemente affari.
LA STRATEGIA DI ELLIOTT Almeno, questo a dar retta alla istintiva diffidenza di molti tifosi davanti a proprietà straniere così lontane, per storia e mentalità, dalle due famiglie che le hanno precedute. Berlusconi e Sensi hanno tenuto i club a lungo (31 anni il primo,18 il secondo, compresi i periodi in cui le società sono state amministrate dalle figlie Barbara e Rosella) e con un’idea della loro conduzione ancorata a una visione imprenditoriale ma anche familistica, in qualche modo sentimentale. Certo non si può pretendere che James Pallotta e Paul Singer possano essere sintonizzati sulla lunghezza d’onda dei vecchi padroni, italiani e cresciuti nel per il club che da adulti avrebbero comprato.Ma il timore di parte dei tifosi è che, appunto,Milan e Roma siano soltanto business per Singer e Pallotta. Che la loro permanenza sia a scadenza, come gli yogurt.Che abbiano in mente, uno, di mettere a posto i conti e riportare stabilmente la società in Champions prima di venderla; e, l’altro, di costruire il nuovo stadio per poi a sua volta mollare il club. Elliott è un fondo,per sua natura rileva aziende in difficoltà e le cede dopo averle risanate. Dal primo moment osi è detto e scritto – ma non lo ha mai fatto lo stesso Elliott – che il periodo di reggenza durerà dai tre ai cinque anni, anche se qualche analista finanziario ipotizza uno sbarco in Borsa, il che significherebbe l’intenzione di Singer di mantenere il controllo del club.
MODELLO ARSENAL? E poi, c’è la linea dettata a Gazidis, Leonardo e Maldini, i dirigenti operativi del nuovo Milan: no, a meno di irrinunciabili occasioni, a giocatori over 30o comunque intorno a quell’età, che costano tanto in ingaggi e non creano plusvalenza; sì invece a calciatori under 25,il costo e lo stipendio dei quali sono più facilmente ammortizzabili e che possono all’occorrenza essere rivenduti, guadagnandoci. “Ma in questo modo non vinceremo mai, faremo la fine dell’Arsenal” (dal quale non a caso arriva Gazidis e di cui sono tifosi i Singer padre e figlio), si lamentano i tifosi rossoneri. Detto che il club inglese non vince la Premier dal 2004 ma nel periodo in cui Gazidis ne è stato amministratore delegato ha conquistato tra l’altro 3 FA Cup, nel solo mercato invernale il Milan ha piazzato due colpi da 35 milioni ciascuno, Paquetá e Piatek, con il secondo pagato in una unica soluzione. Uno sforzo economico significativo, insomma. E se poi l’acquisto del centravanti polacco ha significato anche un risparmio in ingaggi (2 milioni lo stipendio dell’ex Genoa a fronte dei 7 lordi del suo predecessore Higuain) e sul riscatto(pari a 3 6 milioni) del Pipita dalla Juventus, è stato solo un bene per un club costretto agli slalom tra i paletti del Fair play finanziario imposto dalla Uefa. L’obiettivo della proprietà a stelle e strisce è tornare subito in Champions perché è quella e solo quella a garantire introiti corposi in diritti televisivi e sponsorizzazioni.Ma,per arrivarci, è stato deciso di costruire una squadra giovane e perciò futuribile, con tutti i rischi del caso: anche per questo è stato scelto un capo scout come Geoffrey Moncada, l’uomo che portò al Monaco un certo Mbappè. «Dobbiamo costruire un sogno… La nostra proprietà è molto forte e quindi possiamo costruire cose molto eccitanti», ha detto Gazidis appena dieci giorni fa, alla presentazione di Piatek. È stata la prima volta che l’ad ha parlato pubblicamente, a due mesi dal suo insediamento, e la comunicazione scarna era un altro difetto imputato alla nuova dirigenza. Nell’occasione, da parte di Gazidis, è arrivata una presa di posizione netta anche nei confronti della Uefa («Non deve benedire tutto quello che facciamo. Vogliamo rispettare il fair play finanziario, ma ci deve essere un percorso per club come il nostro che vogliono tornare in alto»). Il tempo dirà se alle parole sono seguiti i fatti.
ROMA, CESSIONI ECCELLENTI A Roma James Pallotta è nel mirino del tifo per aver già messo in pratica quelle che potrebbero essere le intenzioni di Elliott a Milano. Negli anni si è liberato degli ingaggi più pesanti, cheperò corrispondevano ai calciatori più appetibili sul mercato: Salah, Pjanic, Alisson, Naingollan, mentre Dzeko non è stato ceduto al Chelsea a dicembre solo per il rifiuto del giocatore. Al loro posto giovani di belle speranze come Lorenzo Pellegrini,Under, Kluivert, Zaniolo. Con qualcuno ti va molto bene (Pellegrini), con qualcun altro straordinariamente bene (Zaniolo), con altri così così (Kluivert). Altri ancora, come Coric, il campo non lo vedono mai. Il discorso è sempre lo stesso,quello del Fair play finanziario al quale pure la Roma è soggetta: la cessione di Salah al Liverpool è avvenuta nei tempi(giugno) e al prezzo (42 milioni)imposti dall’acquirente, pena l’esclusione dei giallorossi dall’Europa. Ma i tifosi non sentono ragioni: per loro Pallotta ha indebolito la squadra e continuano a recriminare sui traguardi che si sarebbero potuti raggiungere mantenendo in organico i giocatori più forti. Dalle cessioni eccellenti il club ha guadagnato 220 milioni in due anni, che hanno dato ossigeno al bilancio e che in parte sono stati comunque reinvestiti sul mercato. Mercato ch eha consentito lo scorso anno di arrivare (a sorpresa) in semifinale di Champions.
IL NUOVO STADIO Un aiuto per essere non solo competitivi, ma vincenti, arriverebbe dalla costruzione di un nuovo stadio, forse il motivo principale che ha spinto Pallotta a comprare la Roma. Però il progetto dell’impianto che dovrebbe sorgere a Tor di Valle è bloccato da 7 anni, dal dicembre 2012 cioè, quando Pallotta e Luca Parnasi, costruttore poi arrestato proprio per la vicenda-stadio, trovarono l’intesa per realizzare il nuovo campo sportivo che avrebbe dovuto accrescere il valore del club. Non sono bastati tre sindaci diversi, due delibere dell’assemblea capitolina sulla pubblica utilità e altrettante conferenze di servizio in Regione per concludere l’iter burocatico. Manca la variante al piano regolatore, condizione necessaria perché si possano concedere gli appalti e cominciare il avori. Nel frattempo Parnasi è stato arrestato per associazione a delinquere e corruzione, diversi politici sono indagati. Ora pare che il governo, per bocca del premier Conte e del ministro dei Trasporti, Toninelli, sia disponibile a finanziare con soldi pubblici la realizzazione delle infrastrutture necessarie nell’area del nuovo stadio: in questo modo i lavori potrebbero finalmente partire. La questione stadio è sul tavolo anche a Milano: ristrutturare San Siro insieme all’Inter, o costruire un nuovo impianto? «Non abbiamo ancora deciso»,ammette Gazidis, ma è chiaro che il futuro del club passa anche e soprattutto da qui,da uno stadio di proprietà. La Juve fa scuola.