Chi pensa che i risultati delle squadre di calcio siano il prodotto dell’ “ambiente”, i teorici del condizionamento da parte del clima e del contesto, dovrebbero perdere qualche secondo a incrociare i dati forniti dalla classifica della stagione che si conclude domenica con quelli dell’Istat. E dovrebbe farlo adesso, prima di Lazio- Inter, la partita che potrebbe condannare Milano – intesa come città – a rimanere fuori dalla Champions League per il quinto anno consecutivo, e regalare a Roma la rara soddisfazione di due squadre qualificate nella massima competizione europea. Scoprirebbe così la realtà bizzarra di un mondo, quello del pallone, che ignora, quando non rovescia, le regole di tutto ciò che ha intorno traducendole in una realtà alternativa e sorprendente.Quei numeri raccontano infatti la storia di due universi al contrario. Quello di Milano la città rinata che macina utili e compete in efficienza con le più prestigiose metropoli europee, e che però sul campo non riesce a tenere la sua stessa velocità finendo per affogare tra polemiche e fallimenti; e quello di Roma, Capitale decaduta, ingoiata dalle sue stesse buche, indifferente al suo stesso dramma, ma calcisticamente abbastanza forte da imporsi come realtà emergente a livello continentale, come dimostra la semifinale raggiunta in Champions dalla Roma. Dal pil pro capite all’uso dei mezzi pubblici, dal tasso di occupazione fino al numero degli incidenti mortali, quella di Milano su Roma è una vittoria con goleada. Per dire, secondo uno studio realizzato per conto dei Radicali italiani di Riccardo Magi, nel capoluogo lombardo, il valore aggiunto pro capite è superiore del 41,8% (44.555 contro 31.415 euro), mentre il Pil individuale è superiore del 18,8 per cento. Dopo l’Expo, Milano è stata capace di cogliere meglio di ogni altra grande città italiana le occasioni offerte dalla ripresa, nel 2015 la crescita era stata del 4,3 per cento rispetto all’anno precedente, dato al quale da Roma avevano risposto con un misero 0,3. Non c’è da stupirsi dunque che l’atteggiamento delle due città circa l’ipotesi di organizzare grandi eventi sia stato del tutto opposto. Nel 2016, Roma, da poco conquistata dal Movimento 5 stelle, rinunciò sia pure dopo enormi polemiche alla scommessa dei Giochi del 2024. Oggi Milano si candida con entusiasmo e fiducia a ospitare l’edizione invernale del 2026. La goleada politica, economica e sociale, perfettamente simboleggiata dal fiorire dei nuovi quartieri milanesi contrapposto al panorama post bellico offerto dai quartieri romani, non ha trovato conferma sul piano calcistico. Anzi, è stato smentito. Nonostante campagne acquisti faraoniche – il Milan ha chiuso la sessione estiva con un saldo negativo di 169 milioni di euro, l’Inter di 23 – e a dispetto del pubblico più caloroso d’Italia – 57 mila spettatori in media per l’Inter, 52mila per il Milan – le due squadre di Milano sembrano disperse nei meandri di una crisi d’identità senza precedenti. Il vuoto creato dalla loro assenza è stato riempito, come capita inevitabilmente in ogni ecosistema, da qualcun altro. Dalle romane. Che pure hanno parametri decisamente meno rilevanti: la Roma ha una media di 37mila spettatori e ha chiuso la campagna acquisti estiva con un saldo negativo di 15 milioni, e la Lazio che di spettatori ne ha 29mila, ha chiuso la campagna acquisti facendo registrare un attivo di 28 milioni. L’analisi di questa contraddizione è solo apparentemente complessa. Parlando con molti dirigenti dei quattro club e con alcuni manager della Lega che da settimane stanno studiando questo fenomeno, c’è una sorprendente unanimità nella valutazione. La causa del paradosso secondo loro va rintracciata nelle difficoltà che le milanesi hanno riscontrato nell’adattarsi ai nuovi modelli di “ownership” dei club. Si è passati dalla proprietà di tipo mecenatistico caratteristico della grande industria meneghina, al controllo da remoto dei mega gruppi e dei fondi internazionali. Un passaggio brutale che ha estraniato i due club dal tessuto della città, e che ha impedito alle società e alle squadre di percepire il clima della città. A Roma, invece, dove una grande industria vera e propria non è mai esistita, hanno fatto molta meno fatica ad adattarsi ai nuovi modelli, quello internazionale degli americani e quello di natura più manageriale di Lotito. E sono dunque riusciti a dare quella continuità di gestione e di progetti che è mancata Milano. E che domenica potrebbe costare il sorpasso definitivo.
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