Maurizio Sarri, Antonio Conte, Gian Piero Gasperini, Marco Giampaolo, una fila di pretendenti (o di pretesi). Ranieri, col suo traghetto, si piazza in scia. Segue, aspetta. Un traghettatore ambizioso, che parte in vantaggio rispetto agli altri: lui intanto è lì, se la gioca, guadagna il giusto e non ha grandi pretese. E poi, si vedrà. Progetto (come vorrebbe Conte o altri più o meno con le stesse ambizioni) o non progetto (che va bene per chi vede la Roma come l’occasione con la maiuscola).
Diciamo che Ranieri fa parte più di questa seconda categoria, perché 1) Vuole allenare e non fare il dirigente, lo ha fatto capire ieri mattina in conferenza stampa a Trigoria. 2) Si sentirebbe gratificato da una conferma come tecnico della Roma, perché quello vuole fare: l’allenatore. Chiaro, questa possibilità verrebbe presa in considerazione in caso di quarto posto.
Che al momento non è scontato, ma possibile. Gratificato da chi, nella domanda, lo inserisce come uno dei candidati alla panchina della Roma del prossimo anno. «Non sta a me stabilire se la società abbia o meno un progetto credibile, ma menomale che mi avete messo in lista… Non stabilisco i programmi futuri, siamo gli ultimi a sapere le cose. Penso a fare il mio per quest’anno, ma dipende da quello che vuole fare il presidente e da che cosa faremo alla fine della stagione», le parole di Ranieri.
DIFFERENZE – Dichiarazione ben diversa da quella rilasciata appena arrivato, quando parlava di missione di tre mesi. Il piatto è ricco, la società non ha ancora in mano l’allenatore e giustamente Ranieri si candida, mandando messaggi urbi et orbi, compreso ai suoi dirigenti, guarda caso, all’indomani del summit di Boston. Come a dire: io ci sono, specie se vi porto in Champions. Del resto, gli fanno notare che, quando parla della Roma, gli brillano gli occhi.
«Io mi trovo bene qui. Mi brillano anche per il Cagliari, dove ho scalato tutte le categorie, dalla C alla A. Ho tutte le mie ex squadre nella testa, ma queste due le ho nel cuore. Non mi sento un profeta, ma un professionista che alcune volte ha avuto le possibilità di poter lavorare come so, in altre sono arrivato in momenti storici non positivi. Sono soddisfatto della mia carriera, che non è finita ancora». Il riferimento è alla carriera da allenatore. Che domani si gioca un pezzo di Champions a San Siro, contro la sua Inter, che però non ha nel cuore. Non brillano gli occhi, dovrà brillare altro, la classifica, ad esempio.
«Se ci fosse una battuta d’arresto non cambierebbe il nostro umore, ma un risultato positivo potrebbe darci una spinta notevole. Far bene significherebbe molto, perdere non cambierebbe la nostra determinazione di arrivare alla fine lottando su ogni pallone». Le due vittorie consecutive hanno rinvigorito l’autostima dei calciatori e sua, ovvio. La Roma, comincia a essere di Ranieri.
«Questo mese e mezzo ci ha portato ad una conoscenza migliore, per i giocatori è più facile perché devono capire solamente me, io invece tutti loro. E’ logico che le due partite ci hanno ridato un’autostima: non prendere gol e soffrire per vincerle ci ha riportato convinzione. San Siro sarà importante se arriva la vittoria, in caso di sconfitta dobbiamo comunque lottare, sudare e far vedere ai tifosi che arriveremo a fine anno a testa alta». E poi chissà, il futuro non ha ancora un nome. Ma tanti pretendenti (o pretesi).
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni