L’aspettativa, come sempre, è delusa. Pallotta è ripartito ieri pomeriggio verso Londra senza aver risolto «ufficialmente» nessuno dei diversi casi più urgenti per il futuro della Roma: la conferma di Spalletti, i rinnovi di Strootman e De Rossi, la decisione sul nuovo ruolo di Totti. In realtà, nessuno a Trigoria si aspettava che il blitz del presidente portasse a chissà quali novità sostanziali. Non è mai successo in passato e, in una società che da sempre lavora in maniera «collegiale», è tutto sommato normale che siano i dirigenti italiani ad occuparsi delle varie questioni durante l’attività «ordinaria». E nulla poteva cambiare la cena di mercoledì sera in un ristorante affollato, tra mille occhi indiscreti: quella tavolata convocata da Pallotta, con la dirigenza al completo, l’allenatore, l’amico-consulente Baldini (solo di passaggio in Italia e già tornato a Londra) e il collaboratore americano Zecca, è servita solo a riunire per un’oretta le diverse «teste pensanti» della Roma davanti a una pizza. È altrove che verrà deciso il futuro di Spalletti. Soprattutto all’interno dei suoi pensieri ancora nebulosi. La società gli parla chiaro da mesi, Pallotta lo ha ribadito pubblicamente: «Noi vogliamo tenerlo, adesso dipende da lui». Più che offrirgli un rinnovo del contratto in scadenza, pieno supporto e la possibilità di condividere il piano tecnico con i dirigenti, che prevede cessioni e acquisti come sempre, la Roma non può fare. Ora la palla passa a Spalletti e a Trigoria si augurano innanzi tutto che la decisione di Luciano sia pienamente convinta: quello degli ultimi tempi, nervoso e in guerra con il mondo, piace meno rispetto all’esemplare uomo di campo che ha rimesso velocemente in piedi la squadra. Tradotto: Spalletti resti solo se sarà entusiasta di farlo e riuscirà a mettere da parte battaglie, peraltro in gran parte condivise dalla società nella sostanza, che non porteranno a nulla se non al caos mediatico. Il toscano a quanto pare si è preso altro tempo prima di sciogliere le riserve. Vuole aspettare i risultati (e quel «resto solo se vinco» rischia di diventare un vicolo cieco) e anche capire con certezza cosa gli offre il mercato: dopo gli abboccamenti dei mesi scorsi Inter o, più difficile, Juve potrebbero presentargli una proposta a breve.
E la Roma che fa? Aspetta Spalletti, almeno fino a maggio. Nel frattempo, i dirigenti stanno iniziando a pensare all’eventuale successore. Impossibile stabilire oggi dei favoriti: da Mancini alla suggestione Sarri, da Giampaolo e Di Francesco fino a Montella e Gasperini, le opzioni di certo non mancano. Sconfinando all’estero, c’è sempre la carta Emery (in uscita dal Psg) da giocarsi se, come sembra, il diesse del futuro sarà lo spagnolo Monchi pronto a riformare la coppia di Siviglia. Intanto Massara resta il direttore incarica (ma in attesa di conferma), Baldini l’uomo di calcio di cui Pallotta si fida ciecamente, nonché il tramite per gestire il rapporto con Spalletti, mentre a Baldissoni e Gandini rimane da gestire tutto il resto, che non è poco tra nuovo stadio e politica sportiva in gran fermento. Durante le riunioni dei giorni scorsi allo studio Tonucci il presidente ha incontrato diversi candidati al ruolo di direttore commerciale, rimasto vuoto dopo il licenziamento di Colette. Intanto Pallotta è volato via con un traguardo raggiunto in più: la rimozione ormai prossima e totale delle barriere all’Olimpico, un successo della Roma ottenuto anche grazie al decisivo appoggio del ministro Lotti. La strada continua ed è ancora lunga. «Nel corso dei prossimi dieci o quindici anni – spiega Pallotta al sito sport360.com – vogliamo diventare una grande forza globale in questo sport. Il nuovo stadio farà una differenza enorme. Molte volte abbiamo fatto due o tre passi avanti e uno indietro… Ma ci siamo sempre rialzati. Il nuovo amministratore delegato Gandini, che è stato in precedenza al Milan, è un enorme passo in avanti rispetto a quello che avevamo prima. C’è un nuovo direttore sportivo e dalla Juve abbiamo imparato che la continuità dirigenziale genera stabilità». Troppi uomini sono passati per Trigoria in sei anni, altri ne arriveranno, ma ora è il momento di «unificare» il pensiero. A prescindere da Spalletti.