Il 22 novembre scorso, quando mise piede per la prima volta nel Wanda Metropolitano, non andò proprio tutto male. Nel senso che è vero, la sua Roma uscì sconfitta per 2-0 al cospetto dell’Atletico Madrid, ma se ci fu un giocatore tra i giallorossi che fece bella figura fu proprio Diego Perotti, con i suoi spunti e le sue serpentine che misero in forte difficoltà Thomas (o Partey che dir si voglia). Domani sera Perotti tornerà proprio lì, nel nuovo stadio madrileno. E chissà che questa volta non vada anche meglio, magari mettendo una seria ipoteca sul prossimo Mondiale russo. Del resto, quella scia dorata con l’odore della Champions gli è rimasta addosso da un po’ e Diego vuole rispolverarla proprio in Spagna, anche se tra una settimana. Quando, cioè, con la Roma andrà a giocare in un altro dei templi del calcio, quel Camp Nou che il 4 aprile ospiterà i sogni giallorossi di tenere viva anche la sfida di ritorno dei quarti di finale della Champions League.
IL PASSATO – La Spagna nel destino, dunque. E forse non poteva che essere così, visto che proprio qui Perotti ha lanciato la sua carriera da professionista. A Siviglia, per mano di quel Monchi che ora gli ha rinnovato il contratto fino al 2021 e che all’epoca (era il 2007) lo scelse per la squadra B, la filial. E nei suoi trascorsi andalusi, Perotti il Barcellona lo ha già incontrato sei volte (raccogliendo due vittorie, un pareggio e tre sconfitte). Non tante, è vero, considerando che con la prima squadra del Siviglia ha giocato sei stagioni. Ma quanto basta per sapere davvero di che cosa si tratta. E se poi non dovesse ricordarselo bene, ci penseranno i vari Piqué, Jordi Alba ed Iniesta a ricordarglielo. Avversari, domani in nazionale e la prossima settimana in Champions. «Con l’Italia abbiamo giocato bene, contro una squadra molto forte che sta cercando di rialzarsi dalla delusione dell’esclusione dal Mondiale – ha detto venerdì sera Diego a Manchester, nella pancia dell’Ethiad –. È stata una buona partita, dove mi è piaciuto l’atteggiamento e l’entusiasmo dei ragazzi che hanno debuttato».
RICORRENZE – Non lui, che in Nazionale aveva debuttato addirittura il 14 novembre 2009, guarda caso proprio contro la Spagna e proprio a Madrid, anche se al Vicente Calderon, il vecchio stadio dell’Atletico, quello che fino allo scorso anno ne ha scritto un pezzo di storia. Coincidenze? Forse, anche se Diego crede che sia più il destino. E pazienza se da quella partita poi ha giocato solo altre 4 volte con la Selección (compresa la sfida di venerdì con l’Italia, dove Sampaoli è rimasto favorevolmente colpito dalla sua prestazione). Riaffacciatosi in nazionale lo scorso novembre dopo una pausa di sei anni, adesso vuole metterci tutto se stesso per realizzare un sogno, quello del Mondiale. «Mi godo il momento, so che non sarà facile arrivarci perché ci sono tanti giocatori forti – ha detto giorni fa al Clarin – Ma combatterò fino alla fine per esserci, di certo non sprecherò l’occasione di queste due amichevoli». La prima se l’è già giocata bene, ora punta sulla seconda.
L’ATTESA – Il dubbio, però, nasce naturale. Dybala e Icardi fuori, Perotti dentro. Dov’è, in caso, l’errore? Semplice, Diego può garantire a Sampaoli alcune soluzioni diverse, lavorando tra le linee e nell’uno contro uno, per la ricerca della superiorità numerica. Cose che lo stesso Sampaoli gli ha chiesto anche recentemente e che lui ha imparato a fare ancora meglio da quando è con Di Francesco, uno che gli ha cambiato (e di molto) la vita. «Se Sampaoli mi ha chiamato penso sia anche merito del tecnico della Roma, che mi chiede di non restare incollato alla linea laterale e di cercare la palla tra le linee e in profondità», chiude Diego. Domani è l’ultimo test, la prova con cui convincere definitivamente il c.t. dell’Argentina. Poi potrà anche iniziare a pensare al Barcellona. Sempre, appunto, che non lo faccia anche prima. E cioè domani, sfidando proprio quei tre.