Alla fine il Movimento ha detto sì. Lo stadio della Roma a Tor di Valle si farà. Sparito come per incanto il rischio idrogeologico, inghiottite le torri della discordia. Il nuovo progetto, ritoccato in corner, ha salvato capra e cavoli: la faccia ai cinquestelle e un miliardo di euro di investimento privato. Eppure, a un certo punto della giornata, era sembrato che il lieve malore notturno registrato da Virginia Raggi, con corsa mattutina in ospedale, avrebbe mandato tutto a monte. Costringendo a un ulteriore rinvio il finale di partita per impraticabilità del campo: consiglieri grillini ancora spaccati, sindaca fuori gioco e nessuna chance di trovare un accordo utile a placare la guerra interna ai 5S. E invece, a metà pomeriggio, quando i medici hanno rassicurato sulle condizioni di salute della prima cittadina, ecco la decisione: lei vuole tornare in Campidoglio per partecipare al summit con il dg giallorosso Mauro Baldissoni e il costruttore Luca Parnasi, l’appuntamento slitterà di qualche ora, ma resta confermato. Segno che il clima è cambiato. E vira indiscutibilmente al bello. Prima però c’è da piegare la maggioranza, quel gruppetto di portavoce romani che continuano a remare contro, convocati dopo pranzo nella Sala delle Bandiere in attesa di conoscere l’ultima bozza del progetto e stabilire la linea da tenere coi proponenti. Non proprio una formalità. Alle sette della sera la sindaca finalmente li raggiunge, ma molti sono già andati via. Lei però è convinta: «Si può andare avanti», dice, «le ultime migliorie vanno nella direzione da noi auspicata, la Roma ha tagliato il 50% delle cubature, le torri non si faranno più, tutte le nostre condizioni sono state accettate». Chi è rimasto – pronto a dare battaglia, a sventolare il parere dell’avvocatura comunale che autorizza l’annullamento della delibera Marino senza pagare penali – resta spiazzato. Fatica a crederci. Vuole garanzie. Sparse subito a piene mani dal vicesindaco Bergamo e dai due tutor parlamentari – Fraccaro e Bonafede – spediti da Grillo a supportare un’amministrazione traballante. Ma i consiglieri non si fidano. Vogliono capire quale sarà il percorso.
Temono si tratti di un inganno. Di piombare in una gigantesca trappola. Ormai però il fronte del no s’è sgretolato. Tutti hanno ascoltato le radio dei tifosi, assistito all’assedio giallorosso sotto al Campidoglio. E poi l’ultima proposta è di quelle che non si può rifiutare. Dopo tre ore di discussione viene messa ai voti: finisce tanto a poco. Psicodramma concluso. Il complesso sportivo e commerciale alla periferia sud della capitale si farà. Il lavoro sotterraneo degli sherpa, che per 24 ore hanno limato il progetto fino all’ultimo metro quadro, è stato premiato. Decisivo l’incontro tra la sindaca e i vertici della Roma Calcio, avvenuto giovedì pomeriggio in gran segreto. E pazienza se, insieme alle cubature, ci sarà da tagliare qualche opera pubblica: resta l’allargamento della Roma-Fiumicino, ma non la bretella di raccordo; si potenzierà la ferrovia Roma-Lido per portare i tifosi in treno, ma non si farà il ponte sul Tevere; verrà messo in sicurezza il fosso di Vallerano. L’importante, per il M5S, è che l’impianto originario ne esca a pezzi. Che si dia il senso di «un progetto nuovo, 2.0», lo chiama la sindaca, prima di ricevere la telefonata «affettuosa» di James Pallotta. Grazie, soprattutto, alla decapitazione delle torri di Libeskind, a un più massiccio ricorso alle energie rinnovabili, ai dispositivi per il recupero delle acque, alle fortificazioni dell’area contro il rischio esondazione. Proprio quello paventato da Grillo nel suo clamoroso niet a Tor di Valle. Anche se, rivelano oggi fonti interne ai 5S, «era una boutade per rabbonire i consiglieri». Ieri chiamati uno ad uno dal capo, per spingerli a dire sì. Missione compiuta. Alle dieci della sera Baldissoni e Parnasi varcano il portone di palazzo Senatorio. È fatta. Il problema se la conferenza dei servizi si dovrà interrompere e l’iter ricominciare tutto daccapo sarà un tema di domani. Stasera il Movimento festeggia. Insieme ai costruttori.