Ipotesi: se la Roma fosse un supereroe potrebbe avere i tratti di Silver Surfer. Il personaggio della Marvel creato da Lee e Kirby – che proprio nel 2016 ha festeggiato i 50 anni – è potente e generoso, ma così sfortunato da dover convivere con un paradosso peculiare: è nato per solcare il cosmo, ma viene condannato a essere imprigionato sulla Terra. Pensateci: sembra essere la condizione esistenziale del club giallorosso sotto la gestione statunitense. Progettato per internazionalizzare una squadra i cui migliori risultati europei risalgono a una vittoria in Coppa delle Fiere (1961), una finale di Coppa dei Campioni (1984) e una di Coppa Uefa (1991), dall’ingresso della nuova proprietà Usa fare strada in Europa resta una chimera, tant’è che nelle 6 stagioni di loro competenza per due volte la Roma non si è qualificata per le Coppe (2012-13 e 2013-14), in una non ha superato il preliminare di Europa League (2011-12), mentre nelle ultime tre stagioni è stata eliminata nei gironi di Champions e poi agli ottavi di Europa League (2014-15), eliminata agli ottavi di Champions (2015-16) e stavolta – causa Porto e Lione – prima ai preliminari di Champions e poi agli ottavi di Europa League. Insomma, come Silver Surfer, la società giallorossa non riesce a sfondare e così vede le stelle solo da lontano.
NOI E LA CHAPE – Per trovare un risultato più consistente – ovvero i quarti di Champions – bisogna risalire a 9 ani fa, quando proprio da Luciano Spalletti s’incagliò solo contro il super Manchester United di Ferguson (2007-08), così come gli era successo la stagione precedente. Eppure una certa dimensione internazionale non manca alla Roma, che ieri ha avuto anche un pubblico riconoscimento dalla Chapecoense, il cui presidente David Plinio de Nes, quattro mesi dopo il disastro aereo che ha cancellato la squadra brasiliana, ha detto come, al di là delle parole o dei buoni propositi, le «uniche squadre a fornire un aiuto concreto al club siano state solo il Barcellona e la Roma».
IL TAPIRO – Comunque, concentrato sulla vicenda del nuovo stadio (vedi accanto), l’acciaccato James Pallotta non ha fatto drammi per l’eliminazione. «Sfortunatamente ho dovuto vedere la partita in hotel per via della febbre – ha spiegato in una pausa dei suoi incontri istituzionali –. La squadra probabilmente ha giocato novanta e più minuti come mai l’avevo vista prima. Siamo stati sfortunati in un paio di occasioni che sono andate fuori di poco e c’è stata anche la traversa. Sono orgoglioso di come hanno giocato, lottando fino all’ultimo minuto». Tutto vero. Per questo a Pallotta piacerebbe senz’altro confermare sulla panchina giallorossa Spalletti – che ieri ha invitato la squadra, delusa dall’eliminazione, «a non mollare» –, ma il nuovo matrimonio potrà celebrarsi soltanto davanti a linee programmatiche ben precise. «Io e il presidente ne parleremo nei prossimi giorni – ha detto ieri l’allenatore a “Striscia la notizia”, non mancando di dare elegantemente degli “sfigati ai giornalisti che sono costretti a psicanalizzarlo” –. Il rinnovo dipende sempre dai risultati in questo ambiente. Per restare, poi, ci sono un po’ clausole, tra cui quella del rinnovo di Totti». Al di là del capitano, le cui vicende come al solito vivono di vita autonoma, di sicuro l’allenatore non ha affatto intenzione di vedere la squadra perdere pezzi importanti che non siano sostituiti con giocatori di pari livello. Il problema anche qui innanzitutto passa dall’Europa. Cioè, in presenza delle note difficoltà di bilancio, centrare la qualificazione in Champions League sfuggita quest’anno è vitale per la Roma, altrimenti il mercato non potrà essere di alto profilo. E così c’è il rischio che il serpente torni a mordersi la coda. Ovvero che fare strada nelle coppe resti sempre il solito desiderio inappagato di fine estate. Proprio come Silver Surfer, costretto a guardare il cielo con infinita nostalgia.