C’è come una distanza costante tra il percorso della squadra Roma, la sua società e la percezione dei tifosi rispetto ai risultati, positivi o negativi che siano. È la più grande pecca riconoscibile del club di James Pallotta, tutte le altre – anche quelle più facilmente individuabili, persino gli stessi trofei non vinti – vengono dopo. Se n’è accorto pure Monchi, che ancora non è riuscito a imporre quella linea di comportamento, il «dobbiamo trovare il grigio» a metà tra i facili entusiasmi e la depressione. Troppo pessimisti nel pensare che il direttore sportivo non ci riuscirà mai, troppo ottimisti allo stesso tempo, però, nell’immaginare che di fronte all’ultimo mese profondamente negativo della squadra corrispondano interventi tali sul mercato in grado di far riprendere la rotta a Di Francesco. Così è, non se vi pare. Così è e stop. C’è che l’input di Pallotta ai suoi uomini nel vertice di Londra è stato quello che i suoi uomini si aspettavano. Nessuna sorpresa: avanti così, l’organico è stato costruito bene, c’è tutto per competere al top, se mercato sarà a gennaio dovrà essere autofinanziato, ovvero solo con il ricavato delle cessioni si può pensare a operazioni in entrata.
IL PIANO A – Anche perché, non va dimenticato, la Roma è pur sempre una società «rea confessa» che ha comunicato alla Uefa di aver sforato i paletti imposti dell’ultimo fair play finanziario. Tra un paio di mesi si capiranno le sanzioni. Nell’attesa non cambia il messaggio: plusvalenze oggi e domani. Il domani sarà Alisson, il presente è uno scenario che a Trigoria possono solo immaginare. Perché vai a capire che cosa succede da qui al 31 gennaio. Di certo c’è che la Roma non dice no a priori per nessun calciatore, neppure in questo mese invernale. Non può farlo, perché non è detto che vada in porto il piano A di Monchi, ovvero le cessioni di Bruno Peres e Skorupski e gli arrivi di un terzino destro titolare (Darmian resta in pole) e un altro portiere di riserva.
IL PIANO B – Il resto, ovvero il piano B, è un telefono che squilla all’improvviso e ti cambia la prospettiva. È l’occasione che non puoi rifiutare, in stile Gervinho-Cina di due inverni fa. Che poi da quelle parti ci hanno riprovato anche di recente, sempre per un attaccante. Dzeko ha detto no, non è sua intenzione trasferirsi in Asia. Ma non si possono escludere altri assalti, il bosniaco continua ad avere mercato e le antenne vanno tenute sintonizzate, pur essendo un giocatore centrale per il gioco di Di Francesco, uno dei pochi ad aver sempre dato l’idea di sapere cosa fare in campo. Insomma: potendo scegliere, non è il bosniaco il primo dei sacrificabili. Discorso che non vale per Strootman: la clausola da 45 milioni pare un ricordo sbiadito, ora la quotazione è scesa e di fronte a una buona offerta l’olandese partirebbe. E infine c’è El Shaarawy, in calo nell’ultimo mese ma autore di una prima parte di stagione sopra le righe. Il Faraone è per caratteristiche uno dei preferiti di Di Francesco, non trovano conferme le voci di interessamenti dalla Premier League mentre qualche movimento ci sarebbe in Bundesliga. Ovvio che, in caso di addio di un titolare, cambierebbe il portafoglio e lo scenario di Monchi. L’obiettivo? Come due anni fa, quando fu esonerato Rudi Garcia, la Grande Paura è quella non raggiungere la qualificazione Champions. Tutti gli sforzi della Roma vanno in quella direzione. Anche quelli che a prima vista possono sembrare contorti.