I calciatori sono invidiosi? Ci mancherebbe pure, verrebbe da rispondere di getto. Macchine di lusso, spesso donne bellissime al proprio fianco e un conto corrente a diversi zeri sono infatti un cospicuo deterrente a questo vizio capitale, forse quello che toglie il sonno più degli altri a chi ne viene pervaso. Eppure, anche nell’El Dorado del pallone, serpeggia l’astio, il livore, quel dispiacere profondo che fa vivere male nonostante una qualità di vita molto, moltissimo, sopra la media. Solitamente è un’invidia legata più alle situazioni che ai beni materiali, una sofferenza figlia di presunte disparità di trattamento, di quasi mai provati favoritismi, di un sentirsi incompresi e vittime. Ma, almeno in questa occasione, non sono certo i calciatori ad essere in cima alla classifica. Posizione occupata di diritto dai tifosi, sognatori di celebrità e ricchezza, che per un gol in un derby con annessa corsa sotto la curva venderebbero l’anima al diavolo.
E del resto, chi non cambierebbe la propria vita con quella di una star del football? La notizia è che c’è stato, però, chi avrebbe voluto fare il percorso inverso ma non ha trovato il coraggio di dirlo fin quando non ha deciso di dire basta con il calcio giocato. Campione del Mondo con la Germania nel 2014 e capitano dell’Arsenal per diverse stagioni, negli ultimi anni. Per Mertesacker nascondeva un segreto, avrebbe preferito fare qualunque altro lavoro piuttosto che dover giocare a pallone. Già, sembra incredibile, ma è stato lui stesso a confessarlo quando, ormai a poche partite da quella d’addio, è scoppiato. «Non vedo l’ora di farla finita, non ce la faccio più – il suo sfogo – Ormai prima di ogni partita mi sento male e vomito. Il calcio mi nausea, preferisco stare in panchina o ancora meglio in tribuna».
Clamorosa la rivelazione riguardo al Mondiale del 2006 (cioè ben otto anni prima del suo ritiro). «Quando l’Italia ci eliminò mi sentii sollevato, pensai una sola cosa: è finita, finalmente è finita». Il tedesco che invidiava la noia a un dipendente delle poste è l’eccezione che conferma la regola, perché questo vizio capitale, nel pallone, trova espressione in molti contesti. «Nel nostro spogliatoio non ci sono problemi – dice Antonio Conte in una conferenza stampa ai tempi della Juventus mentre i giornalisti lo incalzano riguardo presunte discussioni tra i giocatori della sua rosa -Sono voci frutto dell’invidia».
Certamente scherzando, anche se molto probabilmente attingendo ad un fondo di verità, Gabriel Batistuta si esprime così nell’aprile del 2013 parlando di Francesco Totti. «Vederlo giocare ancora a questi livelli mi fa piacere per lui e per la gente che lo guarda, ma mi fa anche invidia». Nella stessa occasione affronta il discorso della maglia numero 9, che secondo alcuni avrebbe voluto da Montella. «Mai avuto questo tipo di problemi, sarebbe stato infantile provare rancore per una cosa simile». Nel 2015, alla vigilia di Chelsea-Southampton, José Mourinho risponde a modo suo all’ex-calciatore scozzese Grame Souness, che lo ha attaccato per l’eliminazione in Champions League. «Penso che l’invidia sia il più grande tributo che le ombre fanno all’uomo».
E fine della storia. Appesi gli scarpini al chiodo e passato dal campo alla panchina, Rino Gattuso spiazza tutti con una dichiarazione inaspettata. «Ho sempre provato un certo fascino per alcune caratteristiche della Juventus, come il suo spirito di sacrificio e l’eterna fame di vittorie. Se questa è invidia allora in questo caso io la provo». E i direttori di gara? Calcano il campo insieme ai calciatori, hanno addirittura il potere di rovinargli la giornata con un breve soffio nel fischietto. Eppure guadagnano molto meno di loro e ben che gli vada escono dal terreno di gioco nell’indifferenza (perché l’alternativa è un bombardamento di parole irripetibili e di minacce).
Saranno un po’ invidiosi? Forse qualcuno sì. Mario Balotelli, dopo essere stato ammonito in Italia-Germania (semifinale del campionato Europeo 2012) per essersi tolto la maglia a seguito di un gol ed aver mostrato i muscoli, se ne esce così: «Ha visto il mio corpo e mi ha invidiato», riferendosi all’arbitro del match, il signor Stéphene Lannoy. E poi c’è chi, invece, sarebbe voluto essere al posto di Peter Niemeyer, quando durante una gara tra l’Alemannia Aachen e l’Herta Berlino, tocca involontariamente il seno dell’arbitro donna Bibiana Steinhaus. In questo caso però, oltre all’invidia entra in gioco anche la lussuria…