Multa o non multa, 100 mila o 60 mila euro, ossia una settimana di stipendio netto o due terzi dello stesso, la vera punizione per Nainggolan (forse più a rimarcare la sciatteria umana della sua ebbra uscita di Capodanno che la reale portata trasgressiva del gesto) è arrivata quando la Roma ha deciso di non convocarlo per la partita di oggi contro l’Atalanta: «Da lui un errore inaccettabile. Chi rappresenta la Roma deve rispettare le regole con una certa continuità » , precisa Di Francesco in rappresentanza dell’etica del gruppo e delle legittime scelte societarie. Il vero guaio è che in questo momento la Roma ha anche altri problemi da risolvere. Il primo è un ragazzone dagli occhi di ghiaccio e con il cuore nella tormenta che quando arrivò tutti dissero a ragion veduta «è un vero colpo» e adesso a guardarlo rendere, cioè a non rendere, gli stessi dicono «che ci prendesse un colpo». L’unico elemento di congiunzione fra palco e realtà, fra aspettative, verdetti del campo e colpi vari, è il nome: Patrik Schick. «Se giocherà non lo metterò al fianco di Dzeko». Come dire che ancora non è chiaro se Schick sia l’involucro che nasconde il vecchio Ibarbo, ipotesi per ora sempre più credibile, o una verità nascosta che il calcio italiano e quello giallorosso in particolare faticano a metabolizzare. Come una vitamina sbagliata. Sappiamo che Schick «è un patrimonio della Roma ma non riesce ancora a esprimersi» . Insomma un tesoro costituito da una moneta fuori corso, non spendibile, tipo talleri, che se ne sta lì, dentro la sua pentola, in un tronco cavo delle campagne di Trigoria. Non frutta. Monchi ha ripetuto che l’acquisto è più per il club che per l’allenatore (gli allenatori ci sono e poi non ci sono più). Rimane il fatto che nel 4- 3- 3 di Di Francesco, il tallero sia di fatto un corpo estraneo, effettui discreti ma non previsti movimenti da seconda punta costringendo l’intero sistema a sbilanciarsi. E la Roma attuale fatica a compensare (quella di due mesi fa forse ci sarebbe riuscita).
Mancando Schick, pesa il cervellotico e oneroso affare che lo ha portato a Roma. I 42 milioni per un solo, inutile gol in Coppa Italia contro il Torino sono una zavorra assurda, specie se paragonati ai 44 milioni che il Liverpool ha pagato per il subilme Salah attuale, Pallone d’oro africano del 2017. Se come dice Di Francesco «manca solo il gol», può darsi che ciò sia da attribuire anche alla cessione dell’egiziano, oltreché alla crisi di Dzeko, che si muove come un ossesso e come un ossesso perde lucidità sotto porta. La sua prima rete allo Stamford Bridge, quella al volo di sinistro, è stata eletta la migliore del 2017 giallorosso. Già, sembra passato un secolo però. E lo Shakhtar è lì. «Dobbiamo prestare attenzione a ogni dettaglio, lo scarto fra una partita vinta e una persa è spesso minimo». Il ristagno del 4-3-3 di Di Francesco non è provocato da Schick. Semmai è l’esatto contrario. Con un atteggiamento meno convinto e con un gioco più impantanato (è la maledizione del 4-3-3, basta un briciolo di dinamismo in meno che diventa una gabbia per chi lo pratica, Rudi Garcia ne sa qualcosa), Schick trova più difficoltà a inserirsi, enormi difficoltà. Per i giallorossi col fiatone l’Atalanta fresca di semifinale in Coppa Italia (che vinse nel ‘ 63) è un bellissimo test. Ma a pensarci bene, forse bellissimo non è l’aggettivo giusto.