«Dimezziamo l’Ecomostro. È il massimo che possiamo fare», dice, stanca, Virginia Raggi ai suoi consiglieri comunali, dopo quasi tre ore di riunione a Palazzo Senatorio. Anche perché, terminato quel vertice con la maggioranza, nell’agenda della sindaca c’è un altro appuntamento ancora: alle nove di sera salgono le scalette accanto alla Lupa il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, e il costruttore Luca Parnasi. Sono a Palazzo Senatorio per «chiudere» la trattativa sul nuovo stadio giallorosso a Tor di Valle. Fuori dal Campidoglio, un manipolo di tifosi intona cori pro-stadio fin dal primo pomeriggio (ma la sindaca non può sentirli, perché in quel momento si trova all’ospedale San Filippo Neri per accertamenti dopo un lieve malore). A fine serata la Raggi dà l’annuncio: «Via le torri, tagliamo le cubature del 60%. Abbiamo evitato il progetto monstre ereditato dalla precedente amministrazione».
E Beppe Grillo rilancia su Twitter con un hashtag: «#UnoStadioFattoBene» La piega che prende la giornata – con la sindaca che cede alla realizzazione dello stadio con il dimezzamento delle cubature private – si capisce intorno a mezzogiorno, quando sul blog del Garante appare un post che “scomunica” i meet up grillini che in questi giorni hanno protestato contro l’operazione immobiliare. «Il cosiddetto tavolo urbanistica M5S – si legge sul blog – non parla a nome del Movimento 5 Stelle e non è titolato a farlo». «Beppe fa capire a tutti che sta con la sindaca», confida un parlamentare vicino a Grillo. Anche l’ex capogruppo Vito Crimi fa intuire che l’accordo è vicino: «Una cosa la posso assicurare: stupiremo tutti, con qualcosa di straordinario».
LA FRONDA – L’incontro viene rimandato di ora in ora: prima è fissato intorno alle 14, poi slitta alle 16, poi alle 18. Alla fine i privati arrivano nella sede del Comune di Roma alle 9 di sera. Fino alle 18 la sindaca è stata in ospedale, poi ha dovuto convincere i “suoi” che l’operazione, pur scavallando ampiamente i limiti del Piano regolatore generale, era il «miglior risultato possibile», considerando che «questo progetto noi lo abbiamo ereditato». Accanto a lei c’è l’avvocato del Movimento, Luca Lanzalone, che tiene i fili della trattativa con i privati. Il taglio finale alle cubature private è del 60%, dopo una trattativa che era partita da una proposta della Roma e di Parnasi che prevedeva una riduzione delle volumetrie intorno al 35%.
Ma era un piano che non poteva convincere tutti i consiglieri pentastellati, soprattutto la fronda degli ortodossi fedeli alla linea del «No alla speculazione». La sindaca sposta ancora l’asticella e alla fine cede ai privati. Poi comunica l’intesa alle dieci e mezza (ovviamente via Facebook): «Tre torri eliminate; cubature dimezzate, addirittura il 60% in meno per il Business Park». Per la Raggi, «abbiamo rivoluzionato il progetto. Abbiamo sempre detto di essere favorevoli alla realizzazione dello stadio ma nel rispetto della legge». Per la Roma parla prima il diggì Baldissoni, «l’accordo che migliora il progetto, è un giorno storico», e poi il presidente James Pallotta: «Comincia un nuovo capitolo, non vediamo l’ora di costruire».
LE INFRASTRUTTURE – Ma insieme alle cubature, anche le opere pubbliche verranno tagliate rispetto a quelle definite dalla delibera del 2014. Alcune opere come il ponte sul Tevere e lo svincolo della Roma-Fiumicino vengono rinviate a data da destinarsi, anche dopo l’apertura dell’impianto. Ieri sera la prima cittadina prometteva che comunque «realizzeremo una stazione nuova per la ferrovia Roma-Lido, si accorceranno i tempi per andare a Ostia, metteremo in sicurezza l’area circostante». Salta invece il prolungamento della metro B. C’è poi il nodo dei tempi: tagliando le opere pubbliche, rischia di decadere la conferenza dei servizi che scade il prossimo 3 marzo, anche se i privati, come sembra, chiederanno la proroga di un mese. L’iter a quel punto dovrebbe ripartire da capo: nuovo progetto, nuove autorizzazioni, nuovi elaborati definitivi.