Alla fine il suo interrogatorio fiume, con tanto di ammissioni parziali (e tante precisazioni), è servito a qualcosa: la procura di Roma ha espresso parere favorevole alle scarcerazione di Luca Parnasi, il costruttore finito in carcere il 13 giugno scorso con l’accusa di essere l’ideatore di un sistema corruttivo che girava intorno al progetto dello stadio della Roma. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pubblico ministero Barbara Zuin, con un parere che non è però vincolante, hanno dato il loro benestare ai domiciliari che rimangono, però, per loro l’unica misura possibile. La difesa dell’imprenditore, affidata agli avvocati Emilio Ricci e Giorgio Tamburrini, aveva chiesto la libertà: i domiciliari erano solo un’alternativa subordinata. Ma per i magistrati è tutto quello che Parnasi può ottenere. Ora, nelle prossime ore, il gip Maria Paola Tomaselli, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Parnasi e i suoi collaboratori, dovrà decidere: ha tempo fino a stasera.
Seppur non vincolante, il parere dei pubblici ministeri ha un peso importante. D’altronde era la carta che il costruttore del nuovo tempio del calcio giallorosso aveva deciso di giocarsi: parlare per tornare libero e provare a salvare le sue aziende. Ed è per questo che in circa undici ore di interrogatorio (sospeso a notte fonda e ricominciato la mattina seguente) ha spiegato il suo “ metodo anni Ottanta”, quello che gli faceva dire, intercettato dai carabinieri di via in Selci: «Io pago tutti, è un investimento ».
Oggetto di quell’atto istruttorio, in una saletta riservata del carcere di Rebibbia, innanzitutto il suo rapporto con Luca Lanzalone, ex presidente Acea e uomo legatissimo alla giunta Cinque Stelle. « Le consulenze erano un modo – ha detto Parnasi ai pm – per garantirmi buoni rapporti con lui » , spiegando come l’avvocato genovese avesse un certo peso in Campidoglio. « Mi è stato presentato come la figura di rifermento del Comune nell’affare dello stadio durante una riunione nel gennaio 2017 alla quale era presente anche la sindaca Virginia Raggi», ha messo a verbale l’indagato.
Non solo Lanzalone. Parnasi ha parlato anche dei soldi alla politica. Ammettendo di aver finanziato tanti personaggi e di diversi schieramenti, sempre per i « buoni rapporti » , ma di non aver mai ricevuto nulla in cambio. Una tesi che servirebbe ad allontanare da sé l’accusa di corruzione. Nel corso dell’interrogatorio, l’imprenditore si sarebbe soffermato anche su una lista di una quindicina di nomi di politici locali ai quali, in effetti, avrebbe versato denaro. «Ma quei contributi – avrebbe detto non hanno mai superato i 4.500 euro». Quanto basta per evitare l’obbligo di rendicontazione. Dell’elenco farebbero parte alcuni dei volti già finiti nell’inchiesta: tra questi ci sono Riccardo Agostini ( LeU), Luciano Ciocchetti ( Noi con l’Italia), Renata Polverini ( FI) e Claudio Mancini (Pd). E poi ci sono i soldi alle fondazioni, in particolare Eyu del Pd e Più Voci, vicina alla Lega.
Dettagli sui quali ora sono al lavoro i carabinieri del nucleo investigativo, guidati dal generale Antonio De Vita.
Intanto, è attesa per dopodomani l’udienza del tribunale del Riesame che dovrà decidere del ricorso dell’ex assessore regionale all’Urbanistica Michele Civita (Pd) e dell’ex vicepresidente del Consiglio regionale Adriano Palozzi ( Fi), entrambi indagati.