Ventisette pagine per smontare pezzo dopo pezzo il progetto Tor di Valle. Un rullo di falle, vizi formali e sostanziali, che scorre fino alla conclusione: «Non sussistono le condizioni di fattibilità per la realizzazione dello Stadio». Quindi non solo «la negazione del progetto non esporrebbe i consiglieri comunali ad alcuna forma di responsabilità ma al contrario eventuali responsabilità per danni potrebbero configurarsi nell’ipotesi di incondizionato assenso ad una operazione economico-urbanistica che potrebbe rivelarsi insostenibile rispetto agli interessi, anche economici, di cui l’Amministrazione comunale è garante».
Firmato: il pool di avvocati amministrativisti dello studio Ad Law, a cui il M5S della Regione Lazio si è rivolto chiedendo un «parere pro veritate». Il documento è stato spedito ieri sera ai consiglieri comunali grillini, quelli che dovrebbero votare un’eventuale variante. Il parere è allegato a una mail firmata da tre big dei 5 Stelle alla Pisana, quelli che hanno chiesto la consulenza: il vicepresidente del Consiglio regionale Devid Porrello, la capogruppo Roberta Lombardi, il presidente della Commissione Urbanistica, Marco Cacciatore.
Il documento annota una carrellata di anomalie.
A partire dal paradosso per cui il grosso delle «infrastrutture a servizio dello stadio» finirebbe «sostanzialmente per essere finanziato dalla parte pubblica e dunque dalla collettività, con evidente squilibrio», scrivono gli avvocati. C’è poi il caos viabilità, con il «parere fortemente negativo del Politecnico di Torino», chiesto dalla Raggi, che ha fatto emergere «difficoltà trasportistiche» che i proponenti invece avevano «sottaciuto». Tanto basterebbe per bloccare tutto, dicono gli avvocati.
Il Politecnico ha parlato di scenario «catastrofico» e di traffico paralizzato a meno che il Comune non stravolga tutta la mobilità cittadina, come ipotizzato nel Pums (Piano della mobilità sostenibile), ma ci vorrebbe un decennio e centinaia di milioni di fondi pubblici tutti da trovare. Al momento, scrivono gli avvocati, il Pums non è nemmeno definitivo, ma «in corso di adozione».
Se il Comune desse mai il via libera allo stadio condizionandolo a queste prescrizioni «allo stato inattuabili», «difficilmente l’amministrazione potrebbe disattenderle senza esporsi a profili di responsabilità». Peraltro col risultato di «addossare al settore pubblico un maggiore costo non previsto».
«GRAVE ILLEGITTIMITÀ» – La zona poi è stata scelta senza una «rassegna comparativa», anche se non rispettava chiaramente i criteri «prioritari» indicati dalla legge, che prediligono il «recupero di impianti esistenti o la localizzazione in aree già edificate». Altra «grave illegittimità»: l’iter è «monco», perché quando il progetto è cambiato nel 2017 i privati avrebbero dovuto ripartire dalla conferenza dei servizi «preliminare» in Comune, anziché passare subito a quella «decisoria» della Regione. Che difatti poi ha sfornato una sfilza «di modifiche sostanziali».
A questo punto i consiglieri comunali del M5S, si legge nel parere, dovrebbero procedere con la bocciatura del progetto. Non si rischia «nessun obbligo di indennizzo o risarcimento» verso i privati, nemmeno «un rimborso per gli oneri di progettazione», dato che i proponenti, «nell’esercizio della libertà imprenditoriale» dovrebbero «proporre un progetto capace di inserirsi nel tessuto urbano migliorandolo e non di aggravarne le criticità con pregiudizio dell’interesse generale».
I vertici della Roma finora hanno ripetuto: «Lo stadio è un diritto acquisito». Ma il parere smonta questa teoria. I privati hanno in mano solo un verbale della conferenza dei servizi che però «non è vincolante per il Consiglio comunale» (è citata una sentenza del Consiglio di Stato), che ha la piena «potestà» in ambito urbanistico. Anche «l’interesse pubblico» conferito dal Comune nel 2017 ha una natura «meramente preliminare, non significa attuare il progetto a tutti i costi». Morale: meglio fermarsi e non fare altri danni.
FONTE: Il Messaggero – L. De Cicco