Un tempo giocava con Florenzi e Bertolacci, ed era titolare dell’Under 18 di un certo Mattia Destro, ora Valerio Frasca difende i pali della Nuorese, con orgoglio e gratitudine per chi crede in lui. Era considerato un grandissimo talento e su Valerio grandi interpreti del ruolo come Angelo Peruzzi erano pronti a scommettere ad occhi chiusi. Quest’anno risulta, tenendo conto della nona giornata di tutte le categorie, dalla serie A alla serie D, il portiere meno battuto d’Italia, insieme a Davide Libertazzi del Borgosesia. Ma non è finita. Da tre stagioni Frasca è il miglior portiere del girone G della serie D. La domanda sorge spontanea: Valerio, ma che ci fai ancora tra i dilettanti?
“Sinceramente è una domanda alla quale non so rispondere” – dichiara Frasca ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Tornare tra i professionisti? Forse mai, perché per i direttori sportivi della Lega Pro a livello fisico non sono all’altezza, è proprio il caso di dirlo. Non rientro nei loro parametri. Finché me ne daranno l’opportunità starò in serie D. Devo tanto alla Nuorese, che mi permette di giocare la domenica, di avere un buon stipendio e di sentirmi importante: c’è gente che sta molto peggio di me. Ovvio, la mia speranza è di tornare tra i professionisti, ma la via più semplice è vincere un campionato e centrare la promozione. L’anno scorso, dopo l’ottima stagione a Sora ho ricevuto chiamate da due squadre di Lega Pro, ma per un motivo o per un altro le opportunità sono sfumate. Stavo firmando il contratto con la Lupa Roma, che ha deciso all’ultimo di prendere un portiere dal Frosinone. E’ una storia che non ti posso raccontare, ma ti farebbe capire quanto fa schifo questo mondo. La Lupa Castelli, invece, ha avuto dei problemi societari e non se n’è fatto più nulla. Ma va bene così, finché dura…”.
Intanto sei il portiere meno battuto d’Italia: una piccola rivincita? “Una bella soddisfazione personale, ma che voglio condividere con la squadra. Quando un portiere riesce a subire poche reti è merito di tutti. L’unico vero problema adesso è che magari parlandone un po’ troppo potrebbe portare sfortuna. Speriamo di continuare così, toccando ferro (ride)”. La promozione è un obiettivo possibile per la Nuorese? “Non è semplice perché a livello tecnico c’è più di qualche squadra più forte, ma perché no, con umiltà vediamo dove possiamo arrivare. Qui mi trovo benissimo. La città è carina, tranquilla e si comportano tutti in modo gentile come me. La società è seria, con delle ambizioni, solida. Non ci fanno mancare nulla e siamo un gruppo valido. La speranza è di riportare questa piazza nel professionismo, perché lo merita veramente”.
Nella categoria sei ormai un esperto para-rigori: ci insegni qualche trucco? “Segreti? Ti dirò la verità, prima dell’anno di Sora non ne ho mai parati. Poi piano piano ho cominciato a bloccarne qualcuno ed è arrivata la fiducia. Negli ultimi due campionati ne ho parati sette, quest’anno spero non ci sia la necessità, ma nel caso sono pronto”. Quanto ti ha limitato l’altezza (1,80 cm) ? “Questo handicap ha accompagnato sempre la mia carriera, dagli Allievi Nazionali della Roma fino a Sora, quando le prestazioni mi hanno permesso di convincere finalmente tutti. Adesso manca l’ultimo passo, convincere anche le squadre professionistiche. La speranza è che mi diano la possibilità di provarci. Indubbiamente l’altezza può dare dei vantaggi, ma essere alti un metro e ottanta non significa automaticamente non essere adatti. Anche se riesci a fornire buone prestazioni c’è sempre il pensiero che uno più alto possa fare di più”.
Sei entrato nella Roma bambino, a 10 anni: che ricordo hai di quel periodo? “Bellissimo. Mi hanno cresciuto, vivevo nel pensionato. Ho avuto dei grandi insegnanti, brave persone. La Roma ha provato a farmi il contratto per farmi diventare un giocatore vero e poi le scelte le ho sbagliate io. L’allenatore a cui devo veramente tanto è Stramaccioni, negli Allievi Nazionali, ma anche Alberto De Rossi, che mi ha dato fiducia in Primavera. Poi naturalmente i due preparatori dei portieri, Valenti e Superchi che mi hanno insegnato tutto ciò che oggi propongo in campo. Hanno perso giornate intere con me: tecnica, gioco con i piedi, palle alte”. Squadra del cuore, idolo e modello? “La squadra del cuore è la Roma, l’idolo calcistico è Daniele De Rossi e il portiere a cui mi ispiro è il numero uno del Lione Anthony Lopes”.
Florenzi e Bertolacci sono arrivati ai massimi livelli: che ricordi hai di loro? “Eravamo un gruppo molto unito. Io, Alessandro, Andrea, Alessandro Crescenzi, tutti bravi ragazzi e ci volevamo molto bene. Diversi di loro hanno fatto carriera, chi in A, chi in B, chi in Lega Pro. Un blocco che dai Giovanissimi è arrivato fino alle porte della prima squadra. Ho dei bellissimi ricordi”. In Under 18 e 19 eri spesso titolare: “Ho giocato a fasi alterne con Sepe e Colombi, esperienza importante. La Nazionale è il massimo per un ragazzino che gioca nei settori giovanili. Ero stato convocato anche da Rocca in Under 20, anche se non ho mai giocato. Le esperienze nei settori giovanili azzurri sono dei ricordi che custodisco gelosamente”
Quali scelte non rifaresti? “Quasi tutte quelle dopo la Primavera della Roma. Arezzo è stata una scelta dettata dalla volontà di guadagnare qualche soldo in più e di arrivare prima nel mondo dei grandi: decisione sbagliata. Venivo da sei mesi fantastici nella Primavera della Roma, dove avevo stabilito il record di imbattibilità. L’anno dopo ho provato a realizzare il mio sogno, quello di giocare in A. C’era il Palermo che mi cercava, erano due anni che si faceva il mio nome. Ma la Roma non mi ci voleva mandare e alla fine è andata così. Mi hanno mandatoin prestito in una società che non credeva in me. Alla Pro Patria ho fatto bene e non mi hanno confermato, così l’unica soluzione rimaneva Sorrento. Uscivo dalla regola dell’under e quindi sono andato in Campania, ma la squadra era già pronta e l’allenatore conosceva bene il portiere che c’era: giocai solo un paio di partite. Presero un altro estremo difensore di esperienza come Rossi e sono finito ai margini”.
Valerio, nonostante le difficoltà, continua a coltivare il suo sogno: “La Roma mi è rimasta affianco e le chance me le aveva date. Per un anno ho fatto il rappresentante e il cameriere per mantenermi, perché avevo degli impegni economici e non esisteva non onorarli. Quell’anno lì mi sono dovuto fermare forzatamente. Nessuno mi voleva, questa è la verità, il telefono non squillava. Poi l’anno dopo grazie a un paio di chiacchierate e a Marco Biancolatte che è un mio carissimo amico, oltre che il mio procuratore, mi hanno dato lapossibilità di andare a Sora, dove ho fatto una grande stagione. Adesso testa solo alla Nuorese”. A caccia di un sogno, la promozione diretta e il ritorno nel professionismo, con tanti saluti a chi non ha creduto in Frasca.