L’interesse per il calcio olandese è un elemento decisamente recente nelle strategie di mercato della Roma. Coincide, non a caso, con l’avvento di Walter Sabatini, che nel 2011 porta in giallorosso, dall’Ajax, il primo giocatore orange della storia. Si tratta dell’ombroso Maarten Stekelenburg, approdato nella Capitale con grandi credenziali (l’anno prima era diventato vice campione del mondo con la sua nazionale) e destinato a un biennio tutt’altro che positivo. Nel periodo zemaniano gli capitò anche di cedere il passo a Mauro Goicoechea, che invece di credenziali ne aveva pochine. Fece tanta panchina e poi chiese (non in italiano, che non imparò mai): «Perché Goicoechea?». Se lo chiedevano in molti, in effetti. Passò Zeman, tornò in porta Stekelenburg, che a fine stagione andò via senza rimpianti reciproci. La complicata parabola del portierone è un’eccezione per quanto riguarda i calciatori olandesi. Viaggiatori per lunga consuetudine culturale, si adattano di solito al paese che trovano. Figli del calcio totale, abituati a lavorare sulla tattica, garantiscono un ambientamento rapido.
L’esempio calzante è quello di Kevin Strootman. Arrivò nell’estate 2013, nella prima Roma di Garcia. Mise piede in campo e sembrava che quella maglia e quei compagni fossero i suoi da secoli. Resistenza, disponibilità al collettivo, determinazione spinta fino a un pizzico di perfidia: in breve è diventato insostituibile, fino al primo crac al ginocchio. Il calvario successivo, fatto di operazioni, recuperi e ricadute, non è riuscito a piegarlo. Terzo e ultimo olandese in giallorosso, Urby Emanuelson. Anche lui duttile, tanto da giocare sia attaccante che difensore esterno. Il problema fu che, nonostante i 28 anni, aveva già dato il meglio, sia nella lunga milizia all’Ajax, sia nel successivo periodo milanista. Garcia gli riservò lo straccio di un paio di apparizioni in campionato. Alla luce del poco che il giocatore ha combinato nelle stagioni successive, il tecnico francese aveva ragione.