Caro direttore, se avessi saputo che l’ippodromo di Tor di Valle, gestito per anni dalla mia famiglia, aveva tutto questo valore artistico-culturale, avrei venduto quel terreno a un prezzo di gran lunga più elevato. Scherzi a parte, sullo stadio della Roma si sta facendo una campagna denigratoria che va a tutelare gli interessi di ben altri personaggi e interessi. Questo progetto, così importante, così prestigioso, eleverebbe infatti il costruttore che lo promuove (ossia, Luca Parnasi, col quale non ho alcun tipo di rapporto, sia chiaro) a un rango di estremo rilievo nella graduatoria di importanza degli operatori urbanistici romani. I poteri forti sono quelli che stanno attaccando lo stadio, non quelli che lo stanno proponendo. Sono bravi ovviamente a scaricare i luoghi comuni delle colate di cemento sui promotori di un progetto che, più che il cemento, fa circolare un miliardo e 600 milioni di investimento e migliaia di posti di lavoro, sia per la realizzazione, che poi per far funzionare e gestire le opere realizzate. È un volano per Roma che la facoltà di Economia e commercio, nel suo studio del progetto, ha calcolato incrementerebbe di un punto e mezzo il Pil provinciale. Proprio nell’ambito di questo pretestuoso ostruzionismo, ritengo sia inquietante il parere della Soprintendenza per svariati motivi. In due anni niente, prima d’ora, è stato rilevato dal punto di vista vincolistico sull’ippodromo. Non si può, solo perché arriva una lettera di Italia Nostra scoprire, a ridosso della conclusione della Conferenza di servizi, i preziosi profili artistici dell’architettura. Inoltre è davvero inquietante l’inserimento tra le valutazioni di rilievo culturale, oltre alla tribuna, anche il sedime della pista, o per dirla più semplicemente, la sabbia dei cavalli. Anche perché ormai la pista dell’ippodromo di Tor di Valle non c’è più, è una linea immaginaria, visto che non ci sono più le balaustre e i birilli. È un campo aperto, fatto di ghiaia e sabbia. Ciò mi conferma la forzatura contenuta in questa iniziativa della Sovrintendenza, che tra l’altro non ha mandato nessuno a fare un sopralluogo per verificare lo stato dei manufatti. Se il vincolo fosse stato messo solo sulla tribuna, infatti, sarebbe stato superabile, rispettando la “distanza di rispetto”. Invece la pista va proprio nella direzione dello stadio. Quindi ne deduco che l’obiettivo è avvicinarsi il più possibile all’area sui cui è prevista la realizzazione dell’impianto, per poterla impedire. Non mi sembra un intervento finalizzato alla tutela del bene culturale, ma all’ostruzionismo di un progetto ambizioso che riqualificherebbe la città. Tante persone hanno parlato anche da scranni istituzionali, come deputati o assessori tipo Berdini, senza informarsi preventivamente delle cose di cui parlavano. Un assessore come fa a non aver visto la cartografia della zona? Se l’avesse vista si sarebbe reso conto che esistevano già le idrovore, che lui diceva si sarebbero dovute porre a carico del Comune (che tra l’altro sono spese irrisorie). Si parla di area piena di amianto, quando l’amianto è stato rimosso e smaltito tra il 2000 e il 2001 con una spesa di c700 milioni di lire. Dopo due anni si sono accorti della pensilina di Lafuente solo per mettere un bastone finale tra le ruote del progetto. E questo, caro direttore, mi sembra il connotato più triste di tutta la faccenda.
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