È finita venerdì, intorno alle 17, quando Francesco Totti ha chiamato uno dei dirigenti di punta della società annullando l’appuntamento che avevano in programma per annunciargli la sua decisione: «Lascio la Roma». La decisione più sofferta della sua vita, persino più di quella che due anni fa lo convinse a rinunciare al campo per non tradire la società che non lo voleva più calciatore. E dovuta a una esasperazione cresciuta nei mesi, nell’attesa, nella delusioni quotidiane del sentirsi inascoltato da chi a parole ne tesseva le lodi.
Quando con la voce grave ha detto basta, era passato un mese esatto dal comunicato con cui la Roma aveva salutato Daniele De Rossi, l’altro gemello allattato dalla lupa. Domani alle 14, riempiendo il salone d’onore del Coni concesso dall’amico Malagò per annunciare al mondo quello che ormai tutti sanno, sovrascriverà un altro anniversario, persino più rilevante: il 17 giugno di 18 anni fa Totti festeggiava il suo primo e ultimo scudetto con la Roma, promessa di una storia mai compiuta. La chiuderà nel peggiore dei modi possibili: raccontando chi a suo dire non l’ha voluto più, chi lo ha costretto a farsi da parte per non dover restare un gagliardetto senza utilità.
Ringrazierà chi in questa avventura dirigenziale gli è stato vicino e lo ha coinvolto, come il Ceo Guido Fienga. Per il resto, l’intenzione è di far conoscere a tutti la propria versione dei fatti. E sarà un atto d’accusa al nemico di sempre, Franco Baldini, ieri dg della Roma americana, oggi consulente personale del presidente Pallotta, l’esecutore di quello che Francesco ha vissuto come un mandato: «Ora però senza più me e Daniele, gli alibi sono finiti», la sintesi del suo pensiero.
A Totti, che dimissioni formali non ne ha ancora presentate, hanno provato a far cambiare idea: invitandolo a rimandare le decisioni a dopo le vacanze, in fondo martedì partirà per Ibiza. Ma non c’è stato verso, la decisione era presa. Una situazione tracimata nelle ultime settimane: a marzo s’illuse di poter contare davvero nei giorni più bui della stagione. Lo disse apertamente, ma da quel momento anziché guadagnare posizioni ne ha perse. Ignorato nella scelta di Petrachi come futuro ds. Bocciato nella scelta dell’allenatore. Non informato del viaggio a Madrid per ingaggiare il tecnico Paulo Fonseca.
Ha aspettato per quasi due anni un ruolo da “dt” che Trigoria riteneva superfuo. Quando glielo hanno offerto senza coinvolgerlo in nulla, s’è sentito preso in giro: «Mi chiamano per presentare figure che non ho scelto». Il nuovo ruolo avrebbe comportato pure controindicazioni per tutto l’universo che ruota intorno a Francesco: la sit com con la moglie Ilary, le comparse nei tornei di calcetto in giro per il mondo, gli spot, attività collaterali sostanzialmente incompatibili con la vita di un dirigente operativo. Per questo il lato angloamericano della Roma si sente di essere la “scusa” perfetta per una rottura di comodo.
Non solo: il segreto inconfessabile è che a Trigoria in tanti rimproverano al Totti dirigente di avere dato priorità a questioni personali come la sua biografia piuttosto che a quelle di squadra, come la trasferta a Baku del 2017, il viaggio a Londra di gennaio 2018, il ritiro dell’estate scorsa e persino la trasferta di Reggio Emilia con il Sassuolo, disertata per un compleanno. Mesi fa al presidente della Figc Gravina Totti confessò che con la dirigenza romanista con ci fosse un gran feeling.
Un mese fa alla Hall of fame della Federcalcio, proprio Gravina lo tentò: «La nostra porta è aperta». Oggi gli offrirebbe di sviluppare le Academy azzurre e valorizzare i giovani. Ma c’è pure chi gli propone ruoli da procuratore o da ambasciatore dei Mondiali in Qatar e dell’Expo 2020 a Dubai. Un modo per non doversi ritrovare all’Olimpico a tifare quella Roma da cui si sente tradito.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci