L’exit strategy, al momento, non esiste e nessuno se la può inventare. Nemmeno nella settimana di Roma-Juventus e soprattutto in piena volata Champions. Spalletti e Totti arriveranno a fine stagione da separati in casa. Non si parlano, a fatica si salutano. E, almeno da qui al 28 maggio (ultima giornata di campionato), la situazione resterà quella degli ultimi mesi. Oggi la convivenza tra l’allenatore e il capitano (ormai non giocatore) è complicata, domani sarà impossibile. Ecco che, dunque, la soluzione postdatata c’è. Il divorzio tra i due. Perché la via d’uscita meno traumatica per la società non è percorribile: Lucio non accetterebbe di restare sulla panchina giallorossa (come per mesi gli è stato proposto da Pallotta e dai suoi collaboratori) se Francesco diventasse direttore tecnico (come gli ha anticipato, anche pubblicamente, Monchi e confermato indirettamente, dopo averglielo messo per iscritto nel giugno 2016, il presidente). Il tecnico, a parole e nei fatti, ha preso definitivamente le distanze dalla società, in particolare dal management italiano con il quale, da 16 mesi, si deve quotidianamente confrontare. E’, dunque, pronto per i saluti. Il giocatore, dal canto suo, è perplesso. Da tempo comunica solo con Domenichini, il vice del toscano (si fida poco degli altri dello staff). E si sente sopportato, in primis dalla proprietà Usa. Possibile, insomma, pure il doppio addio.
DAY AFTER GLACIALE – Il successo contro il Milan non è servito a voltare pagina. I due si ignorano da domenica sera. Altissima la tensione, sul charter nel volo di ritorno e alla ripresa degli allenamenti. Totti, con quel muso lungo trascinato dallo spogliatoio di San Siro fino a quello di Trigoria, non nasconde il suo malumore. Ma non replica, per evitare la trappola della provocazione. Il capitano, ferito da quanto detto da Spalletti, presto incontrerà i dirigenti. Per il futuro. E per il presente, avendo ricevuto nuove (e pesanti) accuse. Sulla professionalità: al mal di schiena di Palermo il tecnico non ha mai creduto e appena ha potuto (solo domenica sera…) l’ha tirato fuori per infierire in tv. Sulla competitività: il riferimento alla inutile partita persa all’Olimpico contro il Villarreal è solo la conferma che Lucio non ritiene più giocatore Francesco (sarebbe finalmente coerente se non lo convocasse per i prossimi 3 match). Più altre allusioni, tra cui la richiesta fatta non ascoltata, però) alla proprietà per far chiudere la carriera a Totti alla fine dello scorso torneo. «Ho sbagliato» ha ammesso l’allenatore, tornando sul cambio Peres-Dzeko, a Radio Rai, nell’ultima delle interviste con cui ha concluso il suo show nella notte di Milano. Ma l’errore, riconosciuto al fotofinish, non ha niente a che vedere con il pentimento. «Il nostro rapporto è normale: buongiorno e buonasera» disse Francesco al Tg1, il 20 febbraio 2016, alla vigilia di Roma-Palermo. Quel giorno non pretese il posto da titolare, ma semplicemente il rispetto. La mattina dopo, quindi a freddo, la rappresaglia: a casa. Cacciato.
GRUPPO SCHIERATO – I compagni, oggi come ieri, sono al fianco di Totti. Solidali e affettuosi. Loro per primi non hanno capito come mai Spalletti lo abbia escluso dal finale di San Siro. E lo hanno consolato dopo il nuovo sgarbo ricevuto. L’allenatore, quando Dzeko ha chiesto il cambio sul 3 a 1 (spinto, tra l’altro da De Rossi), ha fatto rimettere la pettorina a Peres, inizialmente pronto a sostituire Salah, e ha riflettuto per 2-3 minuti sul da farsi. Alla fine ha comunque scelto il terzino, provocando la reazione dei tifosi giallorossi in curva («Un capitano, c’è solo un capitano»). Francesco ha subito sorriso. Nervosamente. Lucio si è poi sfogato. Inutilmente. Ma, da rinomato trasformista,non ha ripetuto: «Rinnovo solo se resta Totti». Il toscano è stato bloccato dall’Inter. Che lo mette, però, dietro a Conte e a Simeone. Cioè dopo i Big. A Trigoria, invece, riprende quota Montella (con Mancini al Milan), anche perché Monchi non è ancora sicuro che il Psg scaricherà Emery.